Oggi parliamo di Mindfulness. La Mindfulness è la pratica della “piena consapevolezza”. Più che una disciplina è un modo di essere, un modo di vivere. Non è quindi teoria ma, appunto, pratica. Non si conosce, si è mindfulness, cioè si vive con l’attenzione consapevole” a ciò che sta accadendo, momento dopo momento, fuori e dentro di noi. È un’attenzione che non giudica. Osserva e fa esperienza. È l’opposto di vivere con il pilota automatico, inconsapevoli.
Il termine è la traduzione inglese della parola indiana sati, che vuol dire, appunto, consapevolezza. Questo termine ha una lunga tradizione risalente fino al Budda che pare l’abbia usato per primo ben duemilacinquecento anni fa. Ciò che la mindfulness occidentale propone è un’esperienza di se stessi e della realtà che non parta “dall’alto verso il basso”, ma “dal basso verso l’alto”.
Cosa vorrà dire ciò? Vuol dire che l’uomo è abituato a fare esperienza della realtà esterna e interna attraverso i pensieri; sono i pensieri e le parole in cui essi prendono forma a classificare gli elementi dell’esperienza e quindi a filtrarli e consegnarci un’immagine artefatta della realtà, ricca di giudizi, emozioni, opinioni. La mindfulness propone di recuperare invece la piena consapevolezza “diretta” dell’esperienza, momento dopo momento, “dal basso verso l’altro”, cioè vivendo l’esperienza nell’eterno presente mentre essa si manifesta ai nostri sensi priva dei filtri cognitivi a cui siamo abituati.
In sostanza, usando una metafora, possiamo immaginare l’esperienza come un fascio di luce multicolore che entra in noi dalla nostra pancia invece che dalla nostra testa. La pancia sarà così la porta di accesso dell’esperienza che risalirà poi alla testa che ne prenderà atto, in modo puro, pieno, senza giudizi e limitazioni. Ciò, invece, a cui siamo abituati è l’opposto: l’esperienza entra come un fascio di luce dalla nostra testa, viene filtrata dalle nostre strutture cognitive, quindi dai limiti delle nostre esperienze precedenti, dai limiti della cultura di cui facciamo parte (regole sociali, familiari, paure..) e viene quindi ricomposta secondo meccanismi che la PNL (Programmazione Neuro Linguistica) identifica come la cancellazione, generalizzazione e distorsione. È così che ci formiamo la nostra “mappa” della realtà, mappa che determinerà tutte le nostre esperienze future, quelle che sceglieremo di fare, quelle che sceglieremo di non fare, quelle che ci capiteranno. Detto in altre parole, non è tanto importante ciò che ci capita minuto dopo minuto, quanto è importante ciò che facciamo un secondo dopo, cioè come “interpretiamo” e quindi cosa facciamo in risposta a quell’esperienza.
Lo scopo della mindfulness è la libertà che si raggiunge con la consapevolezza e, quindi, il benessere. Non a caso questa pratica è utilizzata nella psicoterapia e nella medicina.
Pensiamo ai nostri stati emotivi. Abbiamo affrontato in un altro post il “sequestro emozionale”, cioè quello stato emotivo intenso in cui “perdiamo il controllo” di noi stessi e ci comportiamo (parliamo, reagiamo) come se avessimo il pilota automatico. Questo ci capita, per esempio, in una lite in auto nel traffico, oppure in coda alla posta, oppure ancora in una discussione dai toni accesi con un collega. Pensate invece a come potrebbe andare se al posto di RE-AGIRE alla provocazione, alla situazione che percepiamo come ingiusta, di pericolo, fossimo pienamente presenti a noi stessi, pienamente consapevoli, appunto, di ciò che sta accadendo a livello emotivo in noi e intorno a noi e quindi potessimo SCEGLIERE di non re-agire, bensì di AGIRE, cioè potessimo scegliere liberamente il comportamento da tenere, senza sentirci “obbligati, vincolati, da regole sociali, abitudini familiari e personali. Di fronte ad una persona che mi supera in coda in posta, potrei sentire il senso di ingiustizia che monta in me e di rabbia e…osservare questa emozione, prenderne consapevolezza per poi, invece di arrabbiarmi, scegliere un altro atteggiamento da tenere per far rimettere il furbastro al suo posto.
Vantaggi? Sono stato vicino a me stesso, mi sono ascoltato, ho deciso tra le varia opzioni l’atteggiamento migliore tenere in quel momento, ho agito in coerenza a ciò che sentivo, ai miei valori, non mi si è alzata la pressione, sono soddisfatto di come ho gestito la situazione. Quante volte, invece, dopo una reazione “esagerata” ci siamo sentiti in colpa o comunque in difetto per l’eccessività delle parole o dei toni usati? Quante volte, in una lite con il nostro partner, abbiamo detto la parola sbagliata, abbiamo esagerato e poi abbiamo chiesto scusa, sentendoci i soliti irosi?
È importante non confondere: osservare i nostri pensieri e le nostre emozioni, accettarle per quello che sono, non vuol dire rassegnarsi ad essi, anzi vuol dire poterci confrontare con essi e scegliere di modificarli in linea con i nostri valori e le nostre priorità di quel momento. Noi siamo esseri in continua evoluzione. Quindi se non ci abituiamo a fare il punto della situazione con noi stessi, a seguire il flusso del cambiamento, il rischio è di continuare ad applicare schemi vecchi, non più attuali, oppure valori e schemi non nostri, ma dei nostri genitori o del credo sociale.
La Mindfulness è una pratica, quindi si impara e si coltiva con esercizi di meditazione e con la pratica quotidiana.
Per chi volesse saperne di più consiglio un bel libro di Daniel Siegel, Mindfulness e cervello, Raffaello Cortina editore.
Bene, in questo momento, con la piena consapevolezza di ciò che state leggendo, buona giornata!
