Immaginate se il fegato e i reni cominciassero ciascuno a lavorare per sé, infischiandosene del resto. Oppure se il cuore smettesse di battere per ripicca al pancreas. Cosa accadrebbe? L’organismo collasserebbe da lì a breve e sicuramente arrancherebbe con fatica per cercare di rimanere in vita.
Ebbene, qualcosa di simile accade ogni giorno in buona parte degli studi professionali italiani. Ciascuno per sè e chissenefrega degli altri.
Immaginate ora che in un’orchestra i violini volessero emergere sui fiati; lo spartito diventerebbe carta straccia e il risultato armonico andrebbe a farsi friggere. Il risultato non potrebbe che essere una pessima figura per tutta l’orchestra.
Ed eccoci allo sport: siamo in fase di attacco e il play chiama lo schema di gioco provato e riprovato mille volte in allenamento; ma ecco che l’ala invece di tagliare al centro dell’area sgomita per ricevere palla e il pivot resta immobile per ostruzionismo. Uno vuole segnare, vuole fare punti per sè, l’altro vuole ostacolarlo. Cosa accade? Un gran casino! Lo schema va in pezzi, si perde palla, gli avversari segnano e il mister diventa furioso.
Ci siamo capiti, giocare in squadra vuol dire pensare in un modo diverso, da “io” a “noi”. Tutto parte da qui, dalla mentalità giusta.
Lavorare vicini o insieme?
Cominciamo il nostro viaggio nel team working partendo da questa fondamentale differenza nell’approccio al lavoro in team: lavorare vicini o lavorare insieme?
Lavorare tutti nello stesso studio ed essere magari fisicamente nella stessa location o addirittura nella stessa stanza non fa certo una squadra. Possiamo essere vicini senza essere insieme. La differenza? Nel primo caso ciascuno fa per sé, nel secondo ciascuno si occupa prima di tutto di realizzare gli obiettivi di squadra e poi i propri.
Spesso si parte dal presupposto (convinzione limitante) che lavorare in gruppo e per il gruppo significhi rinunciare al proprio interesse personale. Non è così, anzi. Se si va fino in fondo, quindi se tutto è organizzato e vissuto con lo spirito di squadra la logica sarà win-win e non win-lose. La differenza sarà nelle priorità: prima viene l’interesse comune e poi il personale. Gli organi del corpo, i componenti dell’orchestra, i giocatori del quintetto base, prima di tutto si occuperanno di vincere la partita, di realizzare al meglio lo spartito, di mantenere in vita l’organismo e solo dopo cercheranno di valorizzare se stessi e di massimizzare il proprio interesse.
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Il gruppo: come uno sciame di api
Se andate in qualunque oratorio di ragazzi, vedrete che lo schema di gioco al calcio sarà: palla avanti e tutti a corrergli dietro come uno sciame di api. Ciascuno sta realizzando l’individualismo tipico dei bambini e ragazzi; dello spirito di squadra neppure l’ombra. Ecco, per molti l’approccio alla professione e ai clienti è ancora questo, immutato spirito un po’ “immaturo” del “voglio tutto io”, “io sono il più bravo”, “io ti frego”.
Non ci interessa sapere se ciò è corretto, giusto o cose simili che lasciamo giudicare ad altri. Nel coaching il criterio classificatore delle azioni e comportamenti è scevro dal giudizio morale e si lega alla dicotomia utile/inutile o, per essere più tecnici, funzionale/disfunzionale. Chiediamoci dunque se agire in modo individualistico sia utile alla sopravvivenza dello studio nel nuovo mercato che si sta venendo a delineare, oppure no. La domanda è quasi retorica e la risposta non può che essere no! Non è utile, anzi è fortemente disfunzionale la mentalità individualistica oggi negli studi legali. Il mercato richiede competenze sempre più specialistiche, organizzazioni sempre più strutturate, modalità di esercizio sempre più performanti. Come si può realizzare tutto questo da soli? E come si può realizzare insieme ad altri colleghi, con cui non si condivide una mission, dei valori, delle regole e degli obiettivi precisi? Ci troviamo così di fronte a strutture di studio a volte anche molto articolate, dove ciascuno suona il proprio spartito, inconsapevole o non curante dello spartito comune che dovrebbe portare ad un risultato comune. Si sta lavorando vicini, ma decisamente non insieme.
Come creare lo spirito di squadra
Alla domanda cosa serve in concreto per creare lo spirito di squadra ci sentiamo di rispondere con almeno 5 accorgimenti fondamentali:
- Una comunanza di valori. Esattamente come marito e moglie quando si sposano devono (dovrebbero!) condividere le direttrici fondamentali delle loro azioni e scelte per essere allineati e diretti nella stessa direzione, così mettersi insieme (non solo accanto) ad altri professionisti nel viaggio professionale diventa un “matrimonio professionale” che dovrebbe reggersi innanzitutto su valori comuni. Se le basi sono condivise, ci stanno poi (anzi sono un valore) le differenze individuali. Non si tratta quindi di appiattirsi o di essere privi di personalità, bensì di muoversi in armonia e dentro questa armonia poter esprimere il proprio potenziale.
- Una comunicazione interna efficace. Perché tutti possano condividere il progetto di studio è necessario innanzitutto che lo conoscano. Sembra banale, vero?! Eppure se ci pensate bene molti, moltissimi studi non si sono mai presi cura di chiarire e condividere il progetto di studio con tutti i componenti. Per tutti i componenti intendiamo non solo i professionisti e non solo i senior, ma anche i junior, lo staff, i trainee. Nelle squadre di basket americano anche i massaggiatori, i secondi, lo staff e perfino i magazzinieri sanno per cosa quest’anno la squadra lotterà, sanno a cosa punta, quali sono le priorità e su cosa bisogna prestare tutti massima attenzione. Secondo voi alla Ferrari non vi sono riunioni di team dove tutti, ma proprio tutti, sono aggiornati e coinvolti nel progetto e ciascuno è chiamato nel suo piccolo o grande ruolo a dare il meglio, materialmente ed emotivamente?!
- La vision. “Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare”, ci ricorda Seneca. Ebbene, per poter realizzare la condivisione di cui al punto precedente bisogna prima avere cosa condividere, cioè la meta e il relativo progetto per raggiungerla. Quanti studi ancora oggi agiscono andando “a braccio”? Quanti non hanno mete chiare, ma solo vaghe direzioni, fatte più di speranze e di aspettative, che di progetti concreti. Il board di studio deve prima di tutto saper creare la vision verso cui poi condurre la squadra e saper tenere poi forte il timone durante la navigazione. Provate a fare un piccolo esperimento: provate a lanciare una semplice survey (potete usare anche www.surveymonkey.com) in studio chiedendo a tutti i componenti di scrivere quali sono gli obiettivi dello studio per il 2016. Poi raccogliete le risposte e…buon divertimento! Chiediamoci ora: come possiamo pensare che le persone siano allineate in uno sforzo comune, siano dirette tutte verso lo stesso obiettivo e possano lavorare in sinergia, se innanzitutto non sanno esattamente la meta qual è?
- Una nuova mentalità. Come stanno lavorando i vostri collaboratori? Fanno diligentemente (almeno questo!) il compitino che gli è stato assegnato, oppure si prendono cura? Già, perché nel primo caso saranno sicuramente dei buoni esecutori, affidabili, preparati, ma molto lontano non si andrà. Nel secondo caso, invece vivono il senso di appartenenza, l’orgoglio (corporate identity) del far parte di quella squadra, di quello studio. Le differenze sono tante e tangibili nei due approcci al lavoro. Nel primo caso coltiverò il mio orticello, cercherò di far bene le cose per non farmi riprendere dal capo e per sentirmi a posto in coscienza. Nel secondo caso, invece, è tutta un’altra musica. Se io mi sento parte di un progetto che sento anche mio, quota parte, allora sarò portato a metterci anche quel lampo di genio, la fantasia, il tocco in più, così come ci metterò la pancia nel fare le cose. Sentirò, insomma, che ciò che faccio è anche mio e quindi non mi fermerò a fare il compitino che mi è stato assegnato, ma mi prenderò cura che le cose vadano bene e sarò ben felice di profondere le mie migliori energie emotive e cognitive.
- Organizzazione. La passione, il senso di appartenenza, la buona volontà non bastano per ottenere risultati eccellenti. Ci vuole organizzazione e strategia. Una squadra di football americana (io adoro i Miami Dolphins) lavora su tutti questi aspetti, senza lasciare indietro nulla: vision, motivazione, appartenenza, comunicazione, organizzazione strategia. Se non abbiamo una vision non sappiamo per cosa stiamo lottando; se non c’è motivazione, al primo ostacolo ci sfalderemo; se non c’è senso di appartenenza non c’è spirito di sacrificio comune e non c’è l’orgoglio, benzina per migliorare sempre; se non c’è comunicazione nel gruppo nascono equivoci e il clima peggiora; se non c’è organizzazione vi saranno un sacco di sprechi; se non c’è una strategia ci perderemo per strada.
Insomma, l’individualismo ha fatto il suo tempo, già da tempo è la squadra che farà la differenza e per il futuro sarà ancora di più così. La pandemia se ha avuto qualche effetto positivo, farci capire questo ne è stato uno.
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