La chiamano sharing economy, l’economia di condivisione. Il possesso e la proprietà stanno cedendo il passo all’utilizzo e alla condivisione. In tutto il mondo è questo il trend in atto e lo tocchiamo con mano ogni giorno: il telefonino non si compra più ma si noleggia per l’uso (comodato e simili), la casa di vacanza si prende in condivisione per stagioni, l’auto si usa e paga a tempo (car sharing), la bicicletta pure (bike sharing). Il valore, sempre di più, è nel vantaggio che se ne ricava, nell’utilizzo, appunto. L’economia reale cede il passo all’economia di scambio o, meglio ancora, di condivisione.
Beni o servizi?
Leggiamo su Nova24 de Il Sole 24 Ore il valore stimato di questa economia del futuro, 572 miliardi di euro in Europa. L’attenzione al momento è focalizzata sullo sharing di beni di consumo o di beni immobili: si va dalla casa all’auto, dal telefonino, al servizio di cucina a domicilio. Possiamo cominciare a pensare che anche per le professioni intellettuali, mutatis mutandis, si addiverrà a qualcosa di simile. Se il valore non è più nel possesso del bene materiale, non lo sarà neppure nella titolarità del sapere, bensì nel suo utilizzo e nei benefici che da esso discendono.
I servizi professionali in condivisione
Così come sono già realtà i network professionali, dove professionisti anche a distanza condividono sapere, location, clientela al fine di valorizzare ciascuno la propria attività in un lavoro di squadra professionale finalizzato al risultato per il cliente, così potremmo immaginare tra qualche anno sarà la prestazione del proprio sapere pagata come tale. Detto in altre parole:
il cliente pagherà la prestazione il relativo risultato, più che il titolare della prestazione.
Mi rendo conto che per alcuni questa possa apparire fantascienza professionale, scenari che è meglio non ipotizzare, stravolgimento della professione e via dicendo, ma questa pare la direzione intrapresa. Tra 20 anni tutto questo sarà entrato nella nostra normalità.
Il professionista liquido
Per riprendere le definizione di “liquidità” del filosofo polacco Zigmunt Bauman (leggete i suoi libri, imparerete molto sul nostro tempo!) vedremo in futuro il nascere del “professionista liquido”.
Si pagherà la prestazione, non il prestatore.
Avere un ufficio diverrà opzionale, così come avere il radicamento su un territorio. Lavorare da soli sarà per pochi e la condivisione sarà la regola. La società sarà il laboratorio di ciascuno, la flessibilità il principio cardine dell’organizzazione, la velocità un imperativo e la qualità ciò che permetterà di rimanere o di essere espulsi dal mercato.
Chi dirigerà il tutto? Come tanti direttori d’orchestra, saranno i clienti: i professionisti, come ora le aziende, si adegueranno ai gusti, alle richieste, ai tempi.
Per chi non volesse tutto questo, ricordiamoci che c’è sempre la possibilità di aprire quel famoso baretto in Costa Rica, dove basta una maglietta e un calzoncino per vivere.
Ma queste, sono scelte di vita da fare a monte, una volta scelta la strada, poi va percorsa con le sue regole.