Continuiamo il nostro viaggio nel public speaking, l’arte di parlare in pubblico, piacere e piacersi. Era da settimane che Franco, un avvocato “giovane dentro” (come si definiva lui strizzando l’occhiolino alle cinquanta candeline spente da poco), stava preparando la relazione per il convegno organizzato dal suo Studio legale. Era tutto perfetto, il palcoscenico era la riforma del lavoro e lui non poteva che essere l’attore principale, giuslavorista appassionato. In Studio si muoveva come una lontra in uno stagno di cui conosceva ogni anfratto. Era decisamente a suo agio lì. Ogni giorno percorreva l’asse scrivania, biblioteca di Studio, sala riunioni per la messa a punto della giornata con i collaboratori; di tanto in tanto una puntatina in tribunale per non dimenticarsi che esiste anche quella possibilità. Periodicamente lo aspettava la libreria di strada tra Studio e tribunale che, come un pit stop salutare, lo accoglieva a braccia aperte con lo sguardo di chi ricorda che comprare libri su Internet sarà pure comodo, ma non è bello. Insomma, fin qui tutto bene, piacevolmente sotto controllo. Ma di tanto in tanto il palcoscenico lo chiamava. Lì mille occhi sembravano puntati su di lui e sentiva la pressione che ogni giorno aumentava le sue atmosfere, come in una discesa in un mare che seppur conosceva bene lo agitava sempre. Sapeva di valere 100, ma di rendere 30 quando era lì sotto i riflettori e questo, nel tempo, era diventata una spina nel fianco. Come tutte le situazioni che memorizziamo con intensità emotiva, le sue performance pubbliche erano diventate per lui ancore di un’emozione che si sarebbe risparmiato volentieri: l’ansia.
Siamo un po’ tutti Franco, che ne dite? Molti di noi vivono situazioni di questo tipo. L’ansia da prestazione è naturale, anzi attiva quelle risposte da stress (eustress) nel nostro organismo che ci permette di affrontare la situazione al meglio, di essere efficaci, energici e proattivi. Quando l’ansia, tuttavia, da alleato silenzioso diventa un rumoroso nemico…ecco che le cose cambiano. Le nostre capacità sembrano annichilite. L’ansia agisce come la criptonite su Superman.
Che fare? Tante soluzioni sia per prepararsi al meglio (emotivamente e non solo), sia per affrontare nell’immediato la situazione. Le vedremo pian piano, post dopo post, ora soffermiamoci sul cosa dire al pubblico che ci guarda e ascolta nell’incipit del nostro discorso.
“Vi chiedo scusa per l’emozione…”; “Vi chiedo di essere clementi per gli errori che farò, l’emozione, sapete…”; “Non sono abituato a parlare in pubblico, per cui mi vorrete scusare se sarò poco efficace…”; “Non sono uno speaker efficace, lo so, quindi vorrete scusarmi…”.
Che ne dite, così va bene? Avete cominciato chiedendo scusa, vi siete giustificati, avete messo le mani avanti. Secondo voi il pubblico cosa penserà? “Povero”, oppure “che bravo”, o ancora “sì, bravo, vai avanti così…”? No, miei cari. Il pubblico penserà “ah, cominciamo bene”; oppure “e questo chi lo ha mandato“, o ancora “ma a me cosa frega se non sei abituato, io sono qui per sentire qualcosa di interessante, dai muoviti”; oppure ancora “apperò, cominciamo bene oggi…”.
Che dite, vi ho fatto ulteriormente salire l’ansia adesso? Rilassatevi, ora vediamo come possiamo affrontare meglio la nostra emozione iniziale, senza “bastonarci” da soli pubblicamente (che poi era, paradossalmente, proprio ciò che temevamo nei nostri più reconditi film mentali).
Scusarsi non va bene, perché non è una buona strategia comunicativa cominciare uno speech sulle difensive; inoltre, i “nostri” problemi, al pubblico non interessano, tanto più le nostre difficoltà (soprattutto se manifestate in questo modo). Non creeremo certo un “ponte” col pubblico in questo modo. Non è questa la strada dunque per creare il clima giusto nell’audience, né per creare empatia con chi ci ascolta e guarda.
Vediamo dunque come cominciare bene se siamo in ansia, premesso che una buona strategia è lavorare prima sul nostro stato emotivo, in modo da arrivare in uno “stato” ottimale per lo speech. Pensate, per esempio, ad uno sportivo (un tennista ad esempio) che deve affrontare la partita: il primo step è mettersi emotivamente nella condizione ideale per dare il meglio di sè.
Una volta in scena, comunque, se sentite forte la pressione dell’ansia abbiamo (almeno) due strade:
- la prima è vivere tale emozione che ci pervade senza ostacolarla, cercare di mandarla via, evitarla, ma allearsi ad essa. Come? Immaginando, per esempio, che quell’emozione (che poi siamo noi) sia una calda coperta (Linus insegna) che ci scalda, esattamente come la tuta di un atleta per tenere i muscoli caldi fino a pochi secondi prima dello sprint.
- La seconda possibilità è di condividere col pubblico l’emozione che stiamo vivendo. Condividerla, non scaricargliela addosso! Quindi non scusarsi, bensì comunicare il proprio stato d’animo in modo che chi ci ascolta possa riconoscersi in quell’emozione umana e che, quindi tutti, conoscono bene. “Sono felice di essere qui con voi oggi, e mi sento sempre emozionato a parlare davanti ad una platea di colleghi…”; oppure “Ho il privilegio di parlarvi della riforma ed è sempre emozionante essere qui”; oppure ancora “Ogni qual volta sono in questa magnifica sala mi batte forte il cuore, perché mi ricorda tanti bellissimi momenti di confronto con il pubblico”; o, per chi preferisce un approccio più sobrio “Vi ringrazio di essere qui, sento sempre forte la responsabilità di relazionare a colleghi sulle novità normative perché so quanto è importante per ciascuno di noi essere aggiornati per poter offrire prestazioni professionali eccellenti ai propri clienti”.
Che ne dite, meglio così?
Che siate avvocati, commercialisti, notai, manager, imprenditori, ricordatevi sempre che di fronte a voi, dietro le cravatte e i tailleur ci sono sempre, semplicemente persone fatte di emozioni, più che di logica.
In bocca al lupo per il vostro prossimo speech!