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Public speaking: l’arte di toccare le corde giuste

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Avete mai provato a soffermarvi su un discorso di un grande personaggio? Pensiamo a Martin Luther King, a Ghandi, a John Kennedy, Ronald Reagan o, per venire ai nostri tempi, a Barack Obama o ad Angela Merkel. Già, se lo fate e vi prendete in mano un loro discorso per analizzarne la struttura e poi vederne comodamente in poltrona il loro intervento con tanto di video e di audio vi sarebbe subito chiaro cosa c’è di più nei loro discorsi. Le parole usate, il tono di voce, il ritmo, le pause, lo sguardo, i gesti sono tutti orientati, come i fiati, gli archi, le percussioni in un’orchestra verso l’unico obiettivo: emozionarvi, coinvolgervi, rendervi parte di.

Trasmettere un’emozione, rendere partecipi gli altri, farli sentire parte di un tutto, attori e non spettatori è quello che c’è di più nei loro discorsi rispetto a tanti di politici, dirigenti, personaggi pubblici che spesso ascoltiamo senza che ci restino in mente per più di qualche secondo.

Ricordo bene il principio-cardine del public speaking che insegno ai miei corsi: “Non si ricorderanno di te per quello che hai detto, si ricorderanno di te per come li hai fatti sentire“. Già, come li hai fatti sentire… Parliamo qui di passione, di coinvolgimento. Parliamo di discorsi dove le parole magicamente non si fermano al timpano ma sembra che viaggino sulla nostra pelle palmo a palmo come un balsamo. La capacità di usare metafore, di avvalersi del racconto per trasmettere un’idea, un principio, un concetto. Il tempo, nei loro discorsi, è il miglior alleato con cui danzare tra il ricordo di un episodio passato e il progetto futuro. E loro, in questi discorsi, sono sempre in prima linea. Parlano di ciò che loro possono fare per il Paese, di ciò che sentono, di ciò che provano. Partono da loro per arrivare a noi. E noi rispondiamo. Emotivamente, prima di tutto.

Come dimenticare il famoso discorso tenuto a Washington nel 2009 da Angela Merkel, un vero e proprio elogio della collaborazione americana: “Ringrazio gli americani e i piloti alleati che ascoltarono e accolsero l’invocazione disperata del sindaco di Berlino Ernest Reuter, quando disse ‘gente del mondo guardate questa città’. Per mesi quei piloti distribuirono cibo con un ponte aereo e salvarono Berlino dalla fame”.

Come dimenticare in quel tragico 1963 il discorso a Berlino Ovest di John Fitzgerald Kennedy che parlava ad una platea di milioni di cittadini spaventati, disperati, affamati: “Ich Bin Ein Berliner”. “Duemila anni fa, nel mondo libero l’orgoglio più grande per un uomo era poter dire io sono cittadino romano. Oggi, nel mondo libero, l’orgoglio è poter dire sono un cittadino di Berlino”. Avrebbe potuto dire la stessa cosa in tanti modi, ma lo disse in questo modo ed entrò nella storia. Kennedy così, lontano dagli Stati Uniti, conquistò i berlinesi, il mondo e anche le generazioni future.

Che dire di un Ronald Reagan che nel 1987 alla presenza dell’allora Presidente sovietico disse parole semplici di una forza dirompente: “Mr Gorbaciov, apra questa porta, abbatta quel muro”. Davanti a loro la porta di Brandeburgo. Intorno a loro il muro di Berlino.

Potremmo andare avanti, con Obama a Berlino nel 2008, prima di essere eletto Presidente, con un discorso che si legava a quello di Kennedy quarantacinque anni prima. Già, un candidato alla Presidenza di 46 anni, di colore e che solo 8 anni prima nessuno conosceva. Un candidato che con i suoi discorsi ha portato a votare dai senza tetto ai giovani, dagli afro-americani ai signori di Wall Street. L’idea? Cambiare di nuovo il mondo. Rinnovare la società, prendere al volo la nuova sfida verso la speranza di un mondo migliore. “Non vi parlo da candidato alla Casa Bianca, ma da cittadino americano, da cittadino del mondo. (…) I muri tra vecchi alleati da una parte e l’altra dell’Atlantico non possono rimanere in piedi. I muri tra i Paesi più ricchi e quelli più poveri non possono rimanere in piedi. Quelli tra le razze e le tribù, tra i nativi e gli immigrati; tra i cristiani, i musulmani e gli ebrei, non possono rimanere in piedi. Questi sono i muri da abbattere.” Sì, noi possiamo, ci lascerà il Presidente Obama come motto dopo la sua campagna elettorale.

E’ questa passione, le emozioni che muovono in noi, gli scenari che aprono davanti ai nostri occhi che ci catturano. Vere e proprie iniezioni di calore, fiducia, speranza. Leggiamoli e rileggiamoli e impariamo. Impariamo che quando vogliamo coinvolgere chi ci ascolta, siamo essi i nostri collaboratori, amici, un pubblico, non si ricorderanno tanto di cosa abbiamo detto, quanto di come li abbiamo fatti sentire.

Mario Alberto Catarozzo

Formatore, Business Coach professionista e Consulente, è specializzato nell’affiancare professionisti, manager e imprenditori nei progetti di sviluppo e riorganizzazione.
È fondatore e CEO di MYPlace Communications, società dedicata al marketing e comunicazione nel business. Nella sua carriera professionale è stato dapprima professionista, poi manager e infine imprenditore. Per questa ragione conosce molto bene le dinamiche aziendali e del mondo del business. Si è formato presso le migliori scuole di coaching internazionali conseguendo le maggiori qualifiche del settore.
Collabora con Enti, Istituzioni e Associazioni professionali e di categoria e lavora con aziende italiane e internazionali di ogni dimensione, dalle pmi alle multinazionali.
È autore di numerosi volumi dedicati agli strumenti manageriali e di crescita personale e professionale. È direttore della collana Studi Professionali di Alpha Test Editore e autore de “Il Futuro delle professioni in Italia” edito da Teleconsul editore.
Professional Certified Coach (PCC), presso la International Coach Federation (ICF).
Per sapere di più sulle attività di formazione, coaching, consulenza e marketing visita i siti:

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Per info e contatti: coach@mariocatarozzo.it.