Le ultime notizie circa gli emendamenti al decreto liberalizzazioni prevedono una marcia indietro del Governo sull’obbligo dei professionisti di fare il preventivo in forma scritta laddove richiesto dal cliente. Pare che l’ultima versione preveda che il compenso debba essere reso noto al cliente da parte del professionista con un preventivo “di massima”. E fin qui c’era da aspettarselo. Premesso, tra l’altro, che molti moltissimi professionisti già comunicano di prassi al proprio cliente un preventivo di massima – laddove possibile – penso che non sia il vero punto su cui focalizzare l’attenzione in questo momento. Abbiamo già avuto modo di affrontare l’argomento di come stia velocemente e radicalmente cambiando il mercato professionale. Il discorso preventivazione è di per sé solo un sintomo, e neppure il più eclatante, di un cambiamento ben più radicale che sta attraversando il mondo professionale (e non) in questi ultimi due anni. Focalizzarsi su di esso è come incaponirsi a voler agire sulla spia che segnala la mancanza di olio dei freni. Non è agendo su di essa che i freni ricominceranno a funzionare. Prima di prendere posizioni in merito, sarebbe forse più opportuno chiedersi cosa manifesta questa rinnovata esigenza di liberalizzare.
Bisognerebbe chiedersi perché ci si sta soffermando sul fattore prezzo della prestazione come elemento centrale di un nuovo rapporto professionista-cliente. Se il cliente oggi dovesse scegliere il proprio professionista in base al prezzo della prestazione e basta allora le considerazioni da fare al riguardo dovrebbero essere ben più ampie e preoccupanti per il mondo professionale. Invece questo è – dovrebbe essere – solo un (importante) elemento di una valutazione ben più ampia e accurata da parte del cliente. Quando allora un cliente arriva ad appiattire il proprio criterio di scelta solo in base al costo? Quando – possiamo rispondere con una certa serenità – non percepisce alcun’altra differenza tra i professionisti oggetto della propria scelta. Cioè quando nel suo percepito (per ciò che può saperne lui) sono tutti uguali: un avvocato vale l’altro, un commercialista vale l’altro e così via. Allora – conseguenza logica – a parità di professionisti meglio scegliere quello che mi fa spendere meno. Logico, no?!
E questo quando accade? Quando i professionisti non sono riusciti a comunicare in modo efficace le proprie qualità, caratteristiche, esperienze e più in generale il quid pluris della propria attività rispetto a quella di un altro collega. In altri termini: cosa ti posso dare più di un altro collega? Cosa so fare meglio? In cosa sono più efficiente? Perché e quando, in sostanza, ti conviene rivolgerti a me e non ad un altro? Dunque torniamo al vero cuore della questione che farà la differenza in futuro: parliamo della capacità di saper comunicare con efficacia e incisività le proprie qualità professionali.
Molti ancora partono dalla convinzione – permettetemi, errata – che comunicare=vendere fuffa. Ma no, perché?! Qui non prendiamo neppure in considerazione chi comunica ciò che non ha e non sa fare; gli imbonitori professionali, chi punta sul marketing senza avere contenuti a noi qui non interessa. Qui ci riferiamo a chi ha qualità, contenuti, professionalità, specializzazioni, solidità e competenze e deve oggi saperle comunicare in modo adeguato così che il cliente li percepisca nella propria “mappa della realtà”. Essere bravo e non saperlo comunicare, servirà a poco. E soprattutto rischierà di far concorrere, agli occhi del cliente ignaro, chi è bravo e chi non lo è, perché il cliente percepirà solo la differenza del costo/prezzo.
Insomma chi non vuole combattere la guerra dei prezzi dovrà sapersi differenziare per altre qualità e caratteristiche agli occhi del cliente e soprattutto dovrà saperle comunicare in modo efficace.