Prima di addentrarci in teorie e tecniche di management, è utile fissare i principi cardine di questa disciplina, che vede nella parola performance il cuore del suo esistere. Il management è una disciplina fatta di regole, principi, azioni e verifiche. L’obiettivo del buon manager, qualunque sia l’ambito in cui tale disciplina venga applicata e a prescindere dal contesto (azienda, studio professionale, enti) è raggiungere le migliori performance possibili. Performance vuol dire risultati, ma non risultati qualunque, risultati che abbiano due requisiti sostanziali: efficacia ed efficienza.
EFFICACIA
Il termine efficacia riguarda principalmente un aspetto dei risultati: aver ottenuto quanto si era previsto e stabilito come risultato accettabile. L’efficacia riguarda, quindi, sia la componente qualitativa, che la componente quantitativa. Quando si effettuano previsioni (c.d. forecast), gli obiettivi che ci si pone di raggiungere individualmente o in team si compongono di due varianti: la qualità del risultato, che per un professionista può voler dire la completezza di un atto e la qualità sostanziale dei suoi contenuti e il rispetto delle tempistiche prefissate. Produrre un risultato, per esempio un parere giuridico, un atto, un adempimento, senza aver rispettato le scadenze, oppure con poco approfondimento, mancanza di elementi essenziali (giurisprudenza, dottrina, normativa) inficia il risultato stesso che, pur se formalmente prodotto, non risponde agli standard prefissati. Un discorso analogo può essere fatto per i manager in azienda e gli obiettivi che vengono loro posti. A ciò va aggiunta la seconda variabile, cioè la quantità (laddove prevista). Nella quantità si comprende il numero di risultati che nell’insieme rappresentano il risultato finale; basti pensare per un commercialista la produzione di F24, oppure per un consulente del lavoro di buste paga mensili. La qualità, in questi casi, è non commettere errori, mentre la quantità risiede nel produrre tutti i documenti richiesti entro la dead line.
EFFICIENZA
La variabile efficienza, invece, riguarda la capacità di raggiungere i risultati con il minor dispendio di risorse possibili. Il perfezionista, per esempio, è solitamente efficace, perché ottiene risultati di qualità, ma inefficiente, perché impiega troppe energie, tempo e stress. Nel novero delle risorse vanno dunque considerate le risorse umane (collaboratori), economiche, il tempo, lo stress, la location e gli strumenti di lavoro. Se un ottimo risultato, alla fine “costa” troppo in termini di risorse e si potrebbe ottenere con un risparmio di esse, allora le performance non sono ancora buone.
RAZIONALIZZARE E OTTIMIZZARE
Esistono due metodi fondamentali per migliorare l’efficienza di un team e di una persona: la razionalizzazione e l’ottimizzazione. Vediamole.
Razionalizzare vuol dire ridurre gli sprechi; è ciò che insegna il modello “Agile Project Managemet”, la filosofia “Kaizen”, il metodo “Kanban”, tutti strumenti e metodologie di management che vedremo nelle puntate successive. Nel momento in cui, per esempio, rivediamo le procedure per ridurre i passaggi, stiamo razionalizzando; così come se selezioniamo fornitori più economici, che ci garantiscano la medesima qualità di servizio; idem se evitiamo che due collaboratori si sovrappongano e svolgano in parallelo la stessa attività in studio, oppure se i materiali che stiamo utilizzando, dalla cancelleria ai software possono essere rimpiazzati da altri strumenti altrettanto efficaci, ma meno costosi; anche lo smart working, le videoconference e la razionalizzazione degli spazi della location e degli spostamenti interni e verso i clienti, sono parte del processo di razionalizzazione. In sostanza, tutto ciò che è superfluo, inutile o addirittura dannoso va eliminato in un processo di razionalizzazione dei costi e delle procedure (tempi, energie, persone).
Ottimizzare comprende, invece, la capacità di allocare nelle posizioni giuste e nel momento giusto le risorse in nostro possesso. Si parte dall’idea che ogni risorsa se mal utilizzata diventa a sua volta uno spreco e non va eliminata, ma allocata correttamente. Rientrano nel concetto di ottimizzazione, l’allocazione dei collaboratori nei ruoli giusti in studio e in azienda in base alla loro seniority, competenze professionali e attitudini personali. Vale la regola per cui “è inutile cercare di far saltare un pesce e nuotare un coniglio”. Sta dunque a chi organizza capire dove allocare al meglio le persone del team. Non solo: nell’ottimizzazione rientrano anche l’uso di gestionali, CRM, software in modo consapevole, completo e adeguato alle attività. Spesso i gestionali sono utilizzati al 20% delle effettive potenzialità, così come strumenti come piattaforme di videoconference non sono adeguatamente conosciute e utilizzate.
Ora che abbiamo fissato i principi alla base delle performance è utile entrare nel mondo del coaching dove la parola strategia, come insegniamo nella nostra scuola di coaching MYP COACHING ACADEMY è al centro di ogni agire.
LA FORMULA DELLE PERFORMANCE
Dobbiamo ora scomodare il papà del Coaching: Timothy Gallwey. Negli anni ’70 Gallwey portò il coaching dall’essere una disciplina utilizzata esclusivamente nel mondo dello sport a divenire una disciplina utile anche nel mondo della crescita personale (life) e professionale (business). Fu il suo collega, John Withmore a diffondere definitivamente nel mondo aziendale e del business negli anni ’80 il coaching come lo conosciamo noi oggi. Ma torniamo a Gallwey. Il papà del coaching con una semplice formula ci insegna cosa determina le performance di una persona e di un team.
La formula è la seguente: P=p-i
Va letta in questo modo: le Performance che noi raggiungeremo (i risultati), sono pari alla differenza tra le nostre Potenzialità (capacità, attitudini, competenze, esperienze, conoscenze) meno le Interferenze.

COSA SONO LE INTERFERENZE?
Con esse si intendono tutti quegli elementi che riducono l’efficacia e l’efficienza del nostro agire e, di conseguenza, riducono i risultati che avremo, sia individualmente, che in team. Rientrano sotto il novero delle interferenze due grandi tipologie:
LE INTERFERENZE ESTERNE: sono tutte quelle limitazioni, ostacoli, difficoltà che incontriamo nel mostro agire, derivanti dall’ambiente, dagli altri, dalla sorte. Rientrano in queste la mancanza di adeguate finanze, la mancanza delle conoscenze giuste (intese come contatti), la mancanza di sapere (inteso come ignoranza su una determinata materia), la mancanza di tempo, la mancanza di opportunità, la location, le norme che vietano determinati comportamenti, e così via. Noi siamo soliti attribuire la ragione del nostro errore, fallimento o delusione a questi elementi, che sono più facilmente visibili. Da qui poi nascono convinzioni, luoghi comuni, credenze, pregiudizi, alibi e scuse. Ma le vere interferenze più impattanti sui nostri risultati sono altre. Eccole di seguito.
INTERFERENZE INTERNE: rientrano in esse tutte le limitazioni legate al modo di pensare, alla mentalità, alle abitudini, alle paure, alle esperienze pregresse, alle convinzioni limitanti, ai pregiudizi, alle credenze popolari, all’educazione, alla cultura. Tutte queste, il più delle volte
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