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Gli errori più frequenti nel passaggio generazionale in azienda e in studio

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Il passaggio generazionale evoca, già come immagine, il passaggio del testimone che avviene nelle staffette di corsa. Chi viene prima affida a chi seguirà di proseguire la gara e cerca di dargli il testimone nelle migliori condizioni perché possa a sua volta far bene. Come potete immaginare, una staffetta atletica viene preparata accuratamente, minuziosamente per mesi, anni, prima che possa produrre i suoi frutti. Quindi, possiamo a ragion veduta affermare che passare il testimone, qualunque esso sia, non è un atto istantaneo, ma è un processo. L’atto della consegna in sé del simbolo del passaggio è, se vogliamo, il momento culminante, il momento più eclatante, ma racchiude tanto lavoro alle spalle. Gli atleti si scelgono, perché non tutti vanno bene per la staffetta; scelgono l’ordine migliore, perché ciascuno ha caratteristiche diverse e può dare il meglio in un tratto e non in un altro; scelgono quando il passaggio deve avvenire e con quali modalità perché tutto funzioni. Se osservate bene, il passaggio del testimone è una danza, dove ciascuno sa l’altro cosa sta facendo, dov’è in quel momento e cose deve fare.

UN EVENTO COMPLESSO

Facciamo ora un salto ed entriamo nel passaggio del testimone all’interno di uno studio professionale o di una azienda, il famoso passaggio generazionale. Pare che spaventi molti, se consideriamo che il 71% delle aziende italiane oggi è guidata da titolari ultrasettantenni soli al comando. Se c’è una materia in cui entrano in gioco tutti gli aspetti della vita possibili e immaginabili, quello è il passaggio generazionale. Si parte dagli aspetti economici, centrali per il prosieguo dell’impresa, per continuare con gli aspetti giuridici, altrettanto importanti laddove ci siano più pretendenti (interessati o meno) alla successione (dove oggi con le famiglie allargate a cui siamo abituati metteranno in contatto fratelli con decenni di differenza di età, mogli, mariti, ex coniugi e parentele varie). Le complicazioni non hanno finito di dispiegare tutte le loro pieghe in questa materia, perché entrano poi in gioco gli aspetti affettivi, emotivi e psicologici. Ad essi si aggiungono convinzioni e credenze, pregiudizi ed elementi culturali che spesso non fanno altro che complicare le cose. 

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PROCRASTINARE

Poiché le cose sono molto complicate e vanno a toccare equilibri e nervi spesso scoperti, molti titolari di studio e di azienda preferiscono navigare ben lontano da queste acque, per nulla convinti di voler sollevare tematiche delicatissime. Meglio continuare a lavorare come sempre; meglio continuare a gestire tutto; quando sarà il momento ci penseremo.

Il procrastinare, per quanto comprensibile, è il primo vero grande errore che si commette nei passaggi generazionali. Se, infatti, rinviamo all’infinito, ci troveremo a non affrontare in modo strutturato e metodico il passaggio generazione; capiterà ad un certo punto che dovremo affrontarlo per necessità senza avere il tempo, la lucidità e un piano strategico. Quindi, per quanto comprensibile, credersi eterni, oppure voler evitare ad ogni costo i potenziali conflitti che tale tema apre, non è per niente una buona idea. Ogni titolare di una impresa, che sia uno studio professionale, oppure una azienda, dovrebbe quando tutto funziona e c’è tempo, cominciare ad allocare delle energie a pianificare questo passaggio, a capire chi possono essere i successori, di cosa possono avere bisogno, cosa gli altri vedono e cosa potrebbe rappresentare un problema.

APPROSSIMAZIONE

Un altro errore tipico è affrontare la situazione con “leggerezza” e approssimazione. Per esempio, si chiama il figlio o la figlia in azienda e non le si chiarisce il ruolo che rivestirà, gli obiettivi da raggiungere, le regole relazionali con gli altri collaboratori e dipendenti. Ovviamente, come non è chiaro alla new entry, non lo è neppure agli altri, che vedono questa persona che vaga come un jolly senza una collocazione certa. Questo porta un duplice danno: verso il giovane, che proverà difficoltà innanzitutto per la incertezza e la precarietà del suo inserimento, spesso accompagnato da promesse che poi sistemeremo…, che prima devi capire come si fa… etc.; il secondo danno è nei confronti degli altri collaboratori e dipendenti, che l’unica cosa che percepiscono è che è il figlio/a di…e per questo tutto è permesso: orari di lavoro, errori, attività, ficcare il naso qua e là etc. Entrambi errori che possono lasciare il segno, perché un ingresso partito così è poi difficile che venga rimesso in pista nel tempo e, quindi, si porterà per molto tempo questo bollino di mancanza di meritocrazia con sé. Tutto ciò non aiuta certo il carisma necessario per guidare un team da vero leader.

PARTIRE DALL’ALTO

Il figlio/a del titolare dove volete che venga collocato nel suo ingresso in azienda? Nelle alte sfere. Di solito gli si addice la carica di Responsabile HR, Responsabile Commerciale, Direttore marketing, Direttore generale e per chi osa di più Amministratore delegato. Peccato che il giovano pupillo dell’azienda sa poco e niente, c’è stato più per divertimento finora che per lavoro e molto spesso non si è fatto le ossa in altre organizzazioni. Nella migliore delle ipotesi il giovane ha studi alle spalle che i genitori non hanno, ma questi non bastano certo a dirigere una entità complessa come una azienda. L’errore, quindi, è di voler bruciare le tappe e collocare la nuova risorsa subito in quello che invece deve essere il punto di arrivo e non di partenza. Anche per i figli d’arte le tappe vanno rispettate e le posizioni devono essere conquistate. In questo modo l’interessato si sporca le mani, scopre i diversi aspetti dell’azienda e delle persone che la compongono, si fa conoscere sul campo e acquista carisma verso i collaboratori. L’ideale sarebbe far ricoprire alla nuova leva diversi incarichi strategici seguendo un piano di formazione e di inserimento in azienda, che gli permetta di conoscere i processi produttivi e decisionali e solo alla fine potersi sedere al posto tanto ambito. Altra soluzione è quella di far fare queste esperienze in altre aziende, in modo che veda mentalità diverse e possa portare in azienda un domani novità e freschezza.

Prima di concludere questo focus sugli errori tipici nel passaggio generazionale è utile chiarire che non si ha passaggio generazionale sono in linea di sangue, quindi tra genitori e figli, ma vi è passaggio generazionale ogni qual volta una generazione cede il timone ad un’altra, anche quando chi prende questo timone sono manager dell’azienda non legati da parentela con chi cede.

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Mario Alberto Catarozzo

Formatore, Business Coach professionista e Consulente, è specializzato nell’affiancare professionisti, manager e imprenditori nei progetti di sviluppo e riorganizzazione.
È fondatore e CEO di MYPlace Communications, società dedicata al marketing e comunicazione nel business. Nella sua carriera professionale è stato dapprima professionista, poi manager e infine imprenditore. Per questa ragione conosce molto bene le dinamiche aziendali e del mondo del business. Si è formato presso le migliori scuole di coaching internazionali conseguendo le maggiori qualifiche del settore.
Collabora con Enti, Istituzioni e Associazioni professionali e di categoria e lavora con aziende italiane e internazionali di ogni dimensione, dalle pmi alle multinazionali.
È autore di numerosi volumi dedicati agli strumenti manageriali e di crescita personale e professionale. È direttore della collana Studi Professionali di Alpha Test Editore e autore de “Il Futuro delle professioni in Italia” edito da Teleconsul editore.
Professional Certified Coach (PCC), presso la International Coach Federation (ICF).
Per sapere di più sulle attività di formazione, coaching, consulenza e marketing visita i siti:

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Per info e contatti: coach@mariocatarozzo.it.