Già, se Luigi Comencini potesse girare oggi un film sull’Italia della crisi lo chiamerebbe con buone probabilità così. Del suo celeberrimo “Pane amore e fantasia” del 1953, che raccontava l’Italia del dopoguerra, di amore, oggi, nell’Italia del New Deal (speriamo davvero) ne rimane poco, troppo poco, rosicchiato dall’ansia e dalla preoccupazione quotidiane di un popolo (italiano, ma non solo) alla ricerca di una propria identità e di un significato al proprio agire.
Dunque, più che amore, tanto stress. Se si potesse trasformare in energia sarebbe la nuova fonte di rinnovabili più ricca in assoluto. Lo stress è democratico, non guarda in faccia a nessuno, non fa distinzioni di classe o di ceto, né di professione o di ruolo. Tutti partecipano, chi più, chi meno, a questa condizione, che come un file rouge accomuna un intero popolo.
Ma che cos’è lo stress abbiamo avuto più volte modo di affrontarlo, non tanto da un punto di vista scientifico, che lasciamo a studiosi ed esperti, quanto da un punto di vista dell’impatto che ha sulle nostre vite professionali e familiari, quindi come possiamo porvi rimedio, come possiamo migliorare (stress management). Il nostro organismo cerca in continuazione di ritrovare stabilità (allostasi) alle continue sollecitazioni (carico allostatico) a cui viene sottoposto. Come dire: se lasciassimo almeno ogni tanto andare le cose, se ci dedicassimo un po’ di spazio e tempo, già ciò basterebbe (o quantomeno sarebbe un buon contributo) al nostro organismo per ritrovare un po’ di equilibrio a cui “naturalmente” è portato. Insomma, alla fine siamo noi stessi i primi “ostacoli” al nostro benessere, perché invece di aiutarci a trovare questo equilibrio, tiriamo la corda come pazzi e spesso (qui sì veri pazzi) ne siamo perfino contenti e gratificati peché ci sentiamo iperattivi e produttivi.
So che può sembrare retorico, ma alla domanda da dove partire per ritrovare equilibrio e benessere, e quindi per alleggerire il carico da stress, la risposta è solo una: da noi stessi. Più facile a dirsi che a farsi, direte voi. Ma neppure tanto! I due ingredienti di questa nuova formula verso un maggior equilibrio sono consapevolezza e motivazione. È utile pertanto sapere, che il fisico viene letteralmente logorato a poco a poco dal distress (lo stress cattivo, quello cronico), invecchia prima, è più esposto a malattie e rende meno di quel che si pensi. Gli studiosi hanno infatti provato che perfino la memoria e la concentrazione calano in condizioni di stress protratto nel tempo (distress, appunto). Al contrario una giusta dose di stress (eustress) è certamente utile in situazioni di emergenza e in generale di necessità, perché in quelle situazioni l’organismo è come “dopato”, nel senso che è ricco di sostanze (i c.d. “ormoni dello stress”) che ne migliorano e ottimizzano le prestazioni al fine di poter raggiungere lo scopo; scopo che originariamente (centinaia di migliaia di anni fa) consisteva nella sopravvivenza, oggi più prosaicamente coincide con mete e obiettivi lavorativi e simili. Ok, l’importante è che sia temporanea questa situazione di ipervigilanza e iperattivismo. Un po’ va bene, troppo e troppo a lungo, no.
Il secondo elemento, abbiamo detto, è la motivazione. Abbiamo due scelte: o porre rimedio a situazioni insostenibili quando è troppo tardi e siamo scoppiati e non ce la facciamo più, oppure scegliere come meta, obiettivo il nostro benessere, scoprendo che rallentando non solo viviamo meglio, ma lavoriamo meglio e rendiamo di più.
Noi come uomini siamo stati programmati dalla natura per adattarci all’ambiente al fine di sopravvivere. Sì, ma a quale ambiente? A quello in cui anticamente abbiamo trascorso la quasi totalità della nostra evoluzione, mica quello di oggi! Gli ultimi 200 anni, dall’epoca industriale in poi, l’uomo è stato capace di trasformare l’ambiente e le proprie abitudini in modo drastico, irriconoscibile. Infatti con il nostro organismo tale condizione è difficilmente conciliabile, al punto che non riesce ad adattarsi ai ritmi di ufficio, appuntamenti, impegni, sollecitazioni dell’ambiente (luci, rumori), alle poco rassicuranti relazioni che quotidianamente intessiamo con persone sconosciute, dal cliente, al collega al tramviere o tassista a cui, necessariamente, mettiamo in mano parte della nostra sicurezza per farci portare qua e là. Per non parlare dei continui cambiamenti a cui siamo sottoposti oggi: non si fa in tempo ad imparare ad usare un cellulare che ne esce uno rivoluzionario; avevamo appena preso confidenza col pc, che escono i tablet; abbiamo appena fatto un abbonamento e scopriamo che due mesi dopo la nostra offerta è preistoria e ve ne sono dieci nuove! Insomma, la sensazione che tutto sfugga al nostro controllo, e quindi che siamo costantemente alla rincorsa per sentirci adeguati è uno standard. Ben diverso da contesti culturali in cui un cambiamento avveniva in decenni, per non parlare di cambiamenti che richiedevano centinaia o migliaia di anni. Lì, un po’ di tempo per adattarsi e prendere le giuste misure c’era, che dite?!
Riprenderemo l’argomento, intanto un primo passo per migliorare è acquisire consapevolezza che dipende da noi, solo da noi introdurre cambiamenti che riducano questo carico, questa pressione costante, che è “innaturale” per come siamo stati progettati in natura. Ricordiamoci: “non è colpa del bersaglio se non facciamo centro“. Ogni scusa da oggi in poi è bandita.