Buon compleanno mediazione!
Già, oggi la mediazione civile e commerciale spegne la prima candelina. Partita il 21 marzo 2011 secondo la start up prevista dal D.Lgs. 28/2010, oggi l’istituto che avrebbe dovuto dare una svolta al carico giudiziario pendente taglia il primo traguardo dei dodici mesi di vita. Circa 100mila i tentativi di conciliazione e solo un quinto ha visto la lieta conclusione, per gli altri si sono aperte le porte del Tribunale. Oltre 800 gli organismi di conciliazione accreditati presso il Ministero e oltre 1500 sedi nelle regioni italiane, con la Campania in testa con 230 sedi, seguita dal Lazio con 214 e dalla Lombardia con 153.
Con oggi, inoltre, all’elenco delle liti per le quali si deve esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione si aggiungono quelle in materia di RC auto e le liti condominiali. Insomma vedremo sempre più cittadini affrontare il tavolo negoziale per trovare un accordo bonario alla questione che li vede protagonisti. Quindi le previsioni per il futuro ci faranno vedere meno imprenditori e più cittadini al tavolo delle trattative.
Ma c’è differenza in una mediazione a seconda che siano i primi o i secondi a varcare la soglia della trattativa? Sì, qualche differenza c’è. Non tanto nelle tecniche o nei principi seguiti dal mediatore che, come terzo imparziale, dirige la mediazione nel tentativo di raggiungere un accordo soddisfacente per entrambi. Quanto nella gestione degli aspetti emotivi. Già, perché se l’imprenditore è di solito più freddo e pragmatico nella gestione e nella soluzione della propria vicenda, il cittadino è invece emotivamente più coinvolto. Per il primo, in generale, sono questioni principalmente di soldi e più tempo perdiamo al tavolo negoziale, meno tempo da dedicare alla propria attività abbiamo (altra perdita economica). Per il secondo, invece – posta anche la diversa natura delle liti (divisioni ereditarie, locazioni, patti di famiglia, danno da responsabilità medica, diritti reali) – accanto ai risvolti economici della lite si agitano anche risvolti “personali”, affetti, ricordi, principi, senso di rivalsa. Ciò rende ancora più difficile la gestione della lite da parte del mediatore.
A questo punto il nostro mediatore dovrà sciorinare accanto alle tecniche apprese nei corsi e all’esperienza maturata sul campo, capacità nuove relative alla gestione degli stati emotivi propri e delle parti coinvolte.
Come? Vediamo alcuni principi-base nella gestione di situazioni di questo tipo.
Innanzitutto la prima buona regola è di portare il livello della discussione tra le parti dal piano “tu-io” (identità) al piano la “questione che ci riguarda”, “gli interessi in gioco”, “quel tuo comportamento” (oggetto/comportamento). In altre parole, le parti si presenteranno cariche di astio, stress e rivendicazioni e tenderanno ad attaccare l’altro come persona, nella sua identità. La prima cosa che il mediatore può fare per impostare correttamente il tavolo negoziale è condurre il confronto non tra le persone ma sull’oggetto della lite, sui comportamenti, sugli interessi in gioco.
Già sugli interessi in gioco! E qui troviamo la seconda regola d’oro. Perché spessissimo le parti si presentano in mediazione che hanno già assunto una “posizione”, sì una posizione di principio. Non si discute più, quindi, di interessi, ma di prese di posizione, di posizioni di principio, trascurando e a volte addirittura tralasciando i veri interessi per cui siamo qui.
E’ noto l’aneddoto “Il caso dell’Arancia” utilizzato nel Program on Negotiation della Harvard Law School che vede due sorelle litigare per un’arancia, ciascuna convinta – ovviamente – di averne più diritto dell’altra, finché qualcuno non chiede alle stesse il perché (non eziologico, non la causa, bensì finalistico = a quale scopo…) litigate per l’arancia. E’ così che finalmente vengono chiariti gli interessi sottostanti alla appropria presa di posizione: la prima volve spremere l’arancia, la seconda vuole usare la buccia per una torta. Bene, la soluzione non sarà dividere l’arancia per un principio di equità distributiva, bensì di dare a ciascuno la parte che soddisfa il proprio interesse.
Infine, la terza regola importante è ricordare di lasciare sempre una “via di fuga” a ciascuna delle parti in lite. Detto in altri termini, ciascuno deve sempre avere un’uscita di sicurezza per lasciare il campo con dignità e per poter cambiare idea senza sentirsi umiliato, ferito o distrutto dall’altro. Perché? Perché per un principio di coerenza, dopo aver preso una posizione, dopo aver detto una cosa e averla sostenuta fortemente, anche se ci dovessimo accorgere di avere torto o cambiassimo idea, ci faremmo tagliare a fettine piuttosto che ammetterlo e tornare sui nostri passi. Quindi un ottimo strumento è lavorare sulla “time line”, sulla linea del tempo. In pratica creare un nuovo frame temporale (una nuova cornice temporale) serve perché la logica è che finora pensavi così perché avevi queste informazioni, ora che ne hai di nuove puoi vedere le cose diversamente e…
Al contrario, non è una buona strategia, soprattutto in mediazione, ma anche nella ADR e in generale in qualunque negoziazione anche di business puro dove l’obiettivo è portarsi a casa il massimo risultato possibile, usare la strategia del pugile che cerca di mettere all’angolo l’avversario e colpirlo al fegato tante volte finchè non cade sfinito. Anche in quesi casi bisognerebbe sempre puntare ad un accordo accettabile per entrambi, altrimenti se abbiamo un vincitore totale e un perdente totale, l’effetto boomerang è sempre dietro l’angolo; l’altro, alla prima occasione ci restituirà il favore con gli interessi. E la lite continua.
Sintetizziamo quindi i tre punti fondamentali nella gestione del conflitto carico di emotività:
1. spostare il confronto dal piano personale (identità) al piano dei comportamenti e del fatto;
2. far emergere i veri interessi sottostanti le prese di posizione delle parti;
3. lasciare sempre una “via di fuga” alle parti per poter cambiare idea e abbandonare la lite con dignità.