È importante la scelta di come chiamare il nostro studio legale? Deve per forza avere il nome del professionista? Che differenza c’è tra il nome e il brand? Vedremo in questo articolo, partendo dall’inizio e procedendo un passo alla volta, come una strategia di marketing prenda le sue mosse già dalla scelta del nome dello Studio (naming) e poi dall’immagine che vogliamo trasmettere (branding) a livello di comunicazione.
Fino ad oggi lo Studio legale ha quasi sempre preso il nome del suo fondatore e laddove di fondatore ce ne fosse più di uno… li prendeva tutti. Già nel 2013 avevamo affrontato l’argomento sul brand e della sua importanza “Liberi professionisti: perché costruire il proprio brand per competere sul mercato“, ma cosa è cambiato per gli Studi professionali?
Più che di naming, un tempo, si poteva parlare di nome e cognome. I tempi cambiano e con esso anche la scelta del nome dello Studio. Non solo oggi i figli possono portare accanto al cognome paterno quello materno, ma lo Studio può avere un nome tutto suo, associato o meno che sia il sodalizio tra i professionisti.
E qui si aprono le porte alla fantasia, alla creatività, al “vorrei ma non posso”.
La passerella vede sfilare di tutto di più, dagli acronimi ai nomi di fantasia, dai cognomi con l’aggiunta di “& partners” piuttosto che “& soci”.
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SCELTE DI COMUNICAZIONE ISPIRATE AL MARKETING O AL GUSTO PERSONALE?
Scegliere il nome della propria creatura dovrebbe rappresentare un tassello di una strategia marketing dello studio, invece molti ancora scelgono il nome con gli stessi criteri dei nomi per i figli: il nome del nonno, oppure perché “suona bene” o dalla moda marketing del momento. La decisione del nome dello Studio, a differenza di quella di un figlio, dovrebbe essere dettata da una vision, da una comunicazione e da una prospettiva marketing. Se, per esempio, abbiamo intenzione di dare allo Studio un respiro internazionale, la scelta della lingua inglese allora potrebbe essere opportuna quanto vincente; al contrario, non ha molto senso se l’attività è confinata al territorio nostrano. Allo stesso modo, se il mio target sono aziende di grandi dimensioni, far comparire la scritta “& partners” o “& soci”, può trasmettere l’idea della struttura organizzata, cosa invece sconsigliata se il nostro target è il cittadino in cerca di consulenza e calore umano.
E queste non sono che considerazioni superficiali e preliminari, giusto per fissare qualche paletto ispirato al marketing e quindi alla comunicazione finalizzata alla diffusione e alla vendita di un servizio.
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LA SCELTA DEL NAMING NELLA STRATEGIA MARKETING
All’interno della strategia di marketing che lo Studio Professionale intende portare avanti il naming rappresenta un punto centrale. Il naming ha una funzione insieme descrittiva ed evocativa di un servizio. Da un lato deve essere facilmente riconoscibile sul mercato (leggi anche “Come creare un brand di successo”), in modo che sia altrettanto facilmente individuabile tra molti e possa generare senso di affezione nel pubblico. Dall’altro deve essere sufficientemente diverso dagli altri in modo da non confondersi con la massa. Il naming avrà poi funzione descrittiva del prodotto o servizio, in modo da non generare possibilmente dubbi ed equivoci sulla natura e destinazione del servizio o prodotto.
Uno studio legale che si occupi, per esempio, solo di diritto del lavoro, non sarà utile che si chiami ABCD, cioè con un acronimo di per sé insignificante agli occhi del pubblico. Molto più opportunamente potrà, invece, inserire nel proprio brand la parola job, oppure law, o lav. In questo modo aiuterà il pubblico ad indirizzare la propria interpretazione verso un certo settore escludendone altri. Uno studio che si occupi di diritto ambientale, potrà opportunamente valutare l’inserimento di parole o frazioni di esse che rimandino all’argomento, in italiano o in inglese che sia.
LA COSTRUZIONE DEL LOGO E POI DEL BRAND NELLA STRATEGIA MARKETING
Altro tema aperto nella fase marketing di studio è se poi sia utile accompagnare al nome anche un simbolo, un logo, appunto. Il brand, quale marchio, sarà formato alla fine dal nome prescelto, dal lettering usato (font, dimensione, editing del testo, colore, spaziatura, disposizione) e dalla presenza di un eventuale simbolo grafico. Alla base del brand c’è dunque il logo. Anche qui si aprono innumerevoli scenari. Partiamo col dire che siamo d’accordo che alla fine il brand debba piacere a chi lo commissiona e ci dovrà convivere, ma altrettanto vero è che ogni qual volta ci lanciamo in attività di naming e di branding stiamo entrando nel territorio della comunicazione e del marketing, dove ci sono leggi e regole proprie, se si vogliono fare le cose fatte bene. Andare ad istinto, a piacere puro, può non essere strategico. Infatti, buona regola è cercare di mettersi sempre nei panni di chi guarderà. Chiediamoci dunque cosa può capire chi non sa inizialmente nulla del simbolo, nome o sigla che troverà davanti a sé. A ciò va aggiunta una ulteriore considerazione: che le persone hanno sempre meno tempo e voglia di fare fatica per comprendere. Dunque, ogni scelta criptica che richieda la “Stele di Rosetta” per essere decodificata potrebbe risultare poco efficace e strategica. Chiediamoci perché i grandi brand usano nomi, loghi e brand a volte al limite della banalità, per essere sicuri di essere compresi nel modo giusto.

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DIVERSI O SEMPLICEMENTE COMPLICATI?
Molti professionisti fanno ancora scelte marketing molto ricercate del nome, si inerpicano su strade poco battute e provano un piacere narcisistico puro nel trovare soluzioni che solo loro sanno cosa significano. Ecco questo è il tipico caso di confusione del concetto di “essere diversi” con quello di “essere complicati”. Il giusto mix, invece, dovrebbe essere quello di non apparire banali e soprattutto comuni – che oggi corrisponde ad anonimi – ma nello stesso tempo risultare di facile comprensione per chiunque. Come diceva Leonardo da Vinci “La semplicità è la massima sofisticazione”.

Nella mia attività di consulente marketing, quando con la mia società MYPlace Communications seguiamo gli studi professionali nei progetti marketing, mi trovo a fare da “traduttore” tra il mondo dei grafici, che devono materialmente realizzare il logo, e il titolare di studio.
Gli elementi del naming e del branding nella comunicazione marketing dello studio professionale
Vediamo ora quali sono gli elementi da considerare nel naming e nel branding, dove il primo è l’attività che si riferisce alla scelta del nome, in funzione descrittiva del prodotto o servizio e il secondo è l’attività dedicata alla creazione di un marchio, in funzione relazionale con l’utente (si dice che il brand è ciò che resta nella testa dei nostri interlocutori):
- il nome/acronimo/sigla;
- il font utilizzato, tipo di carattere e la dimensione (wording o lettering);
- il colore;
- disposizione del testo;
- payoff, l’anima del prodotto o servizio che si vuole trasmettere;
- simbolo grafico (pittogramma).
A ciò vanno aggiunte le seguenti valutazioni nella scelta del name e poi del brand:
- il valore culturale che porta con sé;
- l’affinità con il target di riferimento, in modo che vi si rispecchi;
- lo storytelling: l’avere cioè una storia da raccontare;
- lo standing: il posizionamento in termini di valore percepito;
- la relazione: il far sentire i fruitori parte di una esperienza con caratteristiche specifiche.
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MARKETING STUDIO PROFESSIONALE: PAYOFF E CLAIM
IL PAYOFF
È arrivato il momento di focalizzarci sul payoff. Il payoff è la frase che viene solitamente posta sotto il nome ed entra a far parte del logo. Il payoff può avere funzione più o meno descrittiva, ma spesso ha una funzione di tipo emotivo, rappresentando la parte a completamento dell’esperienza che il brand vuole trasmettere. Il payoff risponde alla domanda “qual è la nostra essenza”, “cosa vogliamo lasciare”, “perché lo facciamo”, “cosa ci anima”.
Per uscire dai confini dello studio professionale, prendiamo ad esempio due famosissimi payoff, quello della Apple “Think different” e quello della Nike “Just do it”. Tanto sono legati al name che addirittura tendono a sostituirlo, ad essere riconoscibili anche separatamente dal nome. Se vi dico “Impossible is nothing” cosa vi viene in mente? Esatto, Adidas; questo infatti è il suo payoff.
IL CLAIM
Il payoff, in quanto parte integrante del logo, è qualcosa che non va cambiato facilmente, anzi, dovrebbe rimanere sempre abbinato al name. Ciò lo differenzia dal claim, invece, che è un vero e proprio spot pubblicitario e che come tale ha una durata limitata nel tempo, utile per una certa situazione e non per un’altra. In definitiva, se il claim è un vero e proprio slogan, il payoff non lo è, ma anzi completa e rafforza il nome e la comunicazione dello Studio professionale. Il payoff è composto da poche parole, non più di due o tre, mentre il claim può essere una frase vera e propria. Un esempio di payoff italiano è quello della Galbani con “vuol dire fiducia”.
Concludendo, nella comunicazione marketing va fatta attenzione alla scelta del nome dello Studio in ottica marketing e in particolare vanno considerati tre aspetti:
A) il nome/acronimo/sigla (con funzione esplicativa);
B) il payoff (con funzione relazionale);
C) il pittogramma/simbolo (con funzione descrittiva).
Bene, ora comincia la parte divertente; forza, tutti al lavoro, possiamo fare di meglio!
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