Esiste una alternativa al fare marketing per la propria attività professionale? Certo, non farlo. Ed esiste un’alternativa a fare marketing in modo efficace? Sì, farlo in modo inefficace.
Partiamo dunque da queste due “ovvietà” alla Catalano di “Quelli della notte”. Spesso infatti i discorsi iniziano un passo dopo e queste due considerazioni vengono saltate a pie’ pari.
Sfatiamo luoghi comuni
Ora cerchiamo insieme di fare qualche passo nel mondo del marketing legale e in generale dedicato al mondo dello studio professionale, per capire cosa si può e cosa non si può fare per la professione.
Sgombriamo subito il campo da tre luoghi comuni:
- anche i professionisti vendono, come tutti, qualcosa (il proprio servizio o consulenza);
- le azioni di marketing vecchio stile, cioè invasive per i destinatari, quelle che interrompono le attività dei destinatari (come la pubblicità in tv, per radio o sui giornali), non funzionano più come un tempo, tantomeno nel mondo del web;
- fare marketing non vuol dire necessariamente fare azioni pubblicitarie, tanto odiate dai professionisti.
Teniamo distinte sin da subito azioni pubblicitarie, stile banner, pagina pubblicitaria sulle riviste o cose simili, con il content marketing, cioè l’attività di promozione svolta attraverso i contenuti della professione. Quest’ultima, in sostanza, è da sempre presente nel mondo professionale, sin da quando si cercava di scrivere come autori libri, piuttosto che articoli sui quotidiani o essere chiamati come relatori a convegni e seminari.
Rinforzare la brand reputation
Partiamo in questo articolo dalla fine, dall’obiettivo, come si fa sempre nel coaching. L’obiettivo oggi è costruire o rinforzare la Brand reputation, la reputazione che il professionista o il suo studio ha presso i destinatari. Non siamo, in fondo, molto lontani dal “nome” del professionista, che ha mosso per decenni il passaparola. Solo che oggi le regole sono diverse, il web fa la parte del leone e la competizione è decisamente aumentata.
Prima un pochino di chiarezza sulla terminologia:
- La Brand reputation è pertanto la reputazione, l’immagine che ci costruiamo, ciò che resta nella mente degli altri di noi.
- La Brand identity è invece l’idea che noi stessi abbiamo di noi dal punto di vista professionale (quanto valiamo, quanto siamo conosciuti, come ci posizioniamo sul mercato ecc.).
- La Brand awareness è specificamente la notorietà, quindi quanto il nostro Brand è conosciuto (e riconoscibile) presso i terzi.
- La Brand equity indica il valore economico del nostro Brand
La web reputation
La web reputation è la reputazione che abbiamo specificamente nel mondo digitale (quanto seguito abbiamo, quanto siamo presenti, come ci posizioniamo rispetto ai competitori, la posizione sui motori di ricerca ecc.
Un’ultima nota: se un tempo esisteva la distinzione tra B2B e B2C (business to business e business to consumer, a seconda che il business fosse fatto con aziende, oppure con i consumatori finali, oggi esiste prevalentemente il C2C (consumer to consumer).
Il C2C
Il trend in atto è dei consumatori che si fidano dei commenti degli altri consumatori. In fondo, non è molto lontano dal vecchio passaparola. Nel mondo del commercio questa dinamica è oramai assodata e le aziende si stanno attrezzando al riguardo. Nel mondo professionale non è ancora così, ma è solo una questione di tempo. Anzi, a dare uno sguardo oltre oceano, possiamo vedere che già è attivo il processo, basti vedere cosa fa una delle più grandi directory del mondo di avvocati Avvo.com.
Anche da noi ha già avuto avvio questo trend, basti notare che sia su Linkedin che su G+ c’è la possibilità per gli utenti (quindi anche i clienti) di lasciare un commento sul servizio professionale ricevuto, sul grado di soddisfazione, piuttosto che sull’endorsment a favore del professionista in questione. Tutto questo non vi ricorda TripAdvisor applicato al mondo professionale? E’ solo questione di tempo, qualche anno, forse meno e in men che non si dica ci saremo abituati a questa nuova dinamica, esattamente come ci siamo abituati alla Pec, a WhatsApp e all’Home banking.
A presto!