Dagli studi compiuti dell’antropologo Albert Mehrabian negli anni ’60 sappiamo oggi che dei tre canali della comunicazione (verbale, paraverbale e non verbale) con cui l’uomo si relaziona con i propri simili, il canale extra-verbale (linguaggio del corpo) riveste la maggior efficacia (55%).
La situazione presa in considerazione è quella della comunicazione “de visu”, cioè dove entrambi gli interlocutori sono presenti uno di fronte all’altro. Discorso diverso, invece riguarda la comunicazione telefonica e scritta (documenti, email, messaggi). In questi ultimi casi, infatti, non vi sono più tre canali di comunicazione in azione ma due o uno soltanto.
Perché ci interessa la comunicazione del corpo per il mondo professionale?
La ragione è che in tutte le situazioni in cui il professionista si troverà ad operare (udienza, di fronte a pubbliche autorità, riunioni in studio o con i clienti, seminari e convegni, rapporti in studio con i propri collaboratori ecc.) la maggior parte delle volte viene sottovalutato l’impatto di tutto ciò che non è parola. D’ora in poi, invece, deve essere consapevole che ciò che dirà (le parole = canale verbale) avranno un minor impatto sull’interlocutore, rispetto al come le dirà (volume, tono, ritmo, frequenza, pause silenzi = canale paraverbale) e al come si comporterà e si porrà di fronte all’ascoltatore (sguardo, espressioni del viso, gestualità, postura, vestemica, aptica, cronemica, prossemica).
Ricordiamo il valore attribuito ai tre canali da Mehrabian:
- verbale 7%
- paraverbale 18%
- non verbale (linguaggio del corpo) 55%
Cosa ci fa pensare tutto ciò?
Che la maggior parte di noi presta solitamente tutta, o buona parte, della propria attenzione alle parole che utilizzerà in udienza, oppure nel public speaking, o ancora nel colloquio di lavoro o con un cliente, sottovalutando l’impatto degli altri due canali sulla percezione altrui e sulle relative emozioni (che influenzeranno le scelte di quest’ultimo).
Una buona regola d’ora in poi, sarà quella di dedicare la giusta preparazione e attenzione anche agli altri due canali che trasmetteranno, inconsciamente, al nostro interlocutore moltissime informazioni su di noi.
Ad esempio, il cliente di un avvocato capirà poco o nulla di ciò che tecnicamente il legale farà per tutelare i suoi interessi, quindi utilizzare tante parole, fiumi di spiegazioni (magari con un linguaggio tecnico) servirà a poco; il cliente probabilmente vorrà solo sentirsi al sicuro, sapere che è nelle mani giuste, essere compreso. A questo fine, più che le parole conteranno tono e volume di voce, espressioni del viso, postura, sguardo ecc.
Discorso analogo può essere condotto per il commercialista che si trova a dover interagire con il cliente ansioso per un accertamento o il consulente del lavoro che deve far comprendere al titolare di una società l’importanza di gestire in un certo modo un licenziamento.
In conclusione, non sarà d’ora in poi strategico dedicare il 100% del nostro tempo a ciò che in realtà ha un impatto comunicativo pari al solo 7% (parole = canale verbale). Meglio prepararsi e fare attenzione anche agli altri due aspetti della comunicazione, che tanto parlano di noi e si relazionano con l’inconscio del nostro interlocutore, che percepirà solo ex post le sensazioni ed emozioni generate dalla relazione con l’altro.
Nel corso del Mini Master Innovation Studio approfondiremo questi temi.
Vi aspetto in aula!