Palestra, spogliatoio ore 20. La giornata ha prodotto i suoi frutti e volge al termine, almeno la sua parte lavorativa. È arrivato il momento per dicarsi al relax e scaricare un po’ di tensione accumulata. Fuori le scarpe da corsa, maglietta e calzoncini. Eccoci una decina di reduci dalla giornata in ufficio, ciascuno davanti al proprio armadietto come a militare, prepararsi alla fase B: un po’ di salutare movimento.
Ma succede qualcosa. La giornata, forse, non è ancora finita. Un trillo, con un non so che di melodico, riempie lo spogliatoio. Tutti sull’attenti, all’istante si bloccano. Alzano la testa, puntano il naso verso l’armadietto, come cani da caccia. Sì, è proprio lui: un cellulare che squilla.
Fermi tutti, sarà il mio? Le mani viaggiano, all’unisono come nella miglior prova di nuoto sincronizzato, verso tasche di giacche e pantaloni appesi. Recuperato il padrone del nuovo millennio – quello che ci avrebbe dovuto migliorare le vite, sua maestà il cellulare – con un mix di ansia e di speranza che non sia proprio il mio, che nel caso non sia nulla di importante e che non sia di lavoro soprattutto, si guarda il display. Con l’attenzione del giocatore di poker che scopre ad una ad una le carte, si scorrono le chiamate perse.
Tutti posano con un soffio di sollievo il cellulare: falso allarme, tranne uno, era il suo… Lo sguardo fisso sul display, sopracciglia aggrottate e quel senso che ti stanno portando via la prossima mezzora, proprio ora. Ancora due minuti e non l’avrei sentito, là mentre correvo sul tapis roulant. È un cliente, l’ufficio, un numero sconosciuto. No! Il numero sconosciuto no! All’ansia di qualcuno conosciuto ora si aggiunge il dubbio di qualcuno sconosciuto. E se è importante? Che fare? Che farebbe il “buon padre di famiglia”? Richiamerebbe, e così sia. Con una scarpa nella mano sinistra e il cellulare nell’altra si clicca sul numero rosso. Chissà chi è – ci ripetiamo in testa – forse è importante, forse no. Due squilli e….ma vaffanculo! era il classico telemarketing che ci voleva piazzare l’ennesimo abbonamento. Intanto un’altra botta allo stress che non ne aveva certo bisogno.
Il cellulare, gioia e disperazione di milioni di utenti, professionisti in testa. Bip, trill, pop, melodie. Sono tutti ancoraggi per noi. Ad ogni suono un tipo di messaggio: sms, mail, agenda, WhatsApp, chiamate. Una vita scandita da impulsi a cui rispondiamo senza più neppure pensare tutto il giorno. No, peggio. Anche la notte oramai è sua. Il cellulare non si stacca mai, il senso di abbandono sarebbe troppo forte. E allora è lì, sul comodino che riposa accanto a noi, chissà mai che qualcuno mi cerchi. E poi ci lamentiamo dei figli che stanno attaccati a fissare lo schermo. La buon vecchia relazione face to face è oramai face to screen. Passiamo più tempo a guardare schermi che persone.
Dalla “corrispondenza di amorosi sensi” di leopardiana memoria, alla corrispondenza di digitali sensi, direbbe oggi il Poeta se fosse tra noi.
Insomma, un tempo si poteva essere “schiavi” di una sola persona, la moglie, l’amante, il cliente, il capo… Oggi lo si è di chiunque abbia il nostro numero di telefono.
E lo stress? Beh se pensiamo che il meccanismo di cui ci ha dotato la natura per reagire alle situazioni di pericolo, reale o potenziale, sono le stesse dei nostri progenitori con la clava e che le situazioni di allarme rispetto al lupo che si avvicina a noi o all’orso sono molte molte di più nell’arco di una stessa giornata, capite bene perché lo stress alberga in noi impianta stabile oramai.
C’è una soluzione a tutto ciò? Beh ce ne sono tante, e molte facili facili, basta volerlo.
Come prima cosa, dunque, spegniamolo di tanto in tanto. Riassaporiamo quel senso di solitudine fantastica tutta per noi. Avvocato, commercialista, notaio, medico o chi altro siamo, una volta spento quell’aggeggio, il tempo è di nuovo tutto nostro, nostro come persone, il professionista è per un po’ in stand by.