Con questo articolo abbiamo completato il nostro viaggio nel mondo dell’organizzazione dello studio professionale. Parliamo oggi del feedback come strumento utile a far crescere i propri collaboratori e a creare un buon clima in studio.
A tutti sarà capitato di impegnarsi e non ricevere alcun riscontro per l’attività svolta, indipendentemente che si è stati in grado di raggiungere l’obiettivo oppure no. Vi ricordate la sensazione provata? Come minimo era di delusione, se non di frustrazione. E vi ricordate cosa ci siamo promessi in seguito? Di non “menarcela” più perché tanto avevamo capito che sarebbe stato tutto inutile.
Tanto nessuno ti riconosce nulla
Mi capita spesso di fare formazione in studi professionali dove dai giovani la lamentela che mi sento rivolgere è che in studio quando fanno qualcosa che va bene, che funziona, nessuno gli dice nulla; al contrario, quando ci sono problemi, o sbagliano qualcosa, ecco che “apriti cielo”, tuoni e fulmini si abbattono su di loro. Cosa ci stanno dicendo questi ragazzi? Che non ricevono feedback equilibrati, utili, costanti. Cosa si aspettano dunque? Di ricevere un riscontro alla loro attività sia quando c’è qualcosa che non va, sia quando hanno fatto bene.
Equilibrio e costanza
La prima regola che traiamo da questa storia è che il dominus di studio, il team leader, deve imparare a dare feedback sia positivi (di rinforzo dei comportamenti che funzionano), che di miglioramento (di ri-orientamento dei comportamenti che devono essere migliorati). Se daremo solo feedback negativi rischieremo di deprimere l’ambiente di lavoro, oppure di non essere più ascoltati sul lungo periodo. Equilibrio, quindi tra feedback di rinforzo e di miglioramento.
La seconda regola che possiamo trarre è poi quella della costanza. Inutile dare feedback a distanza di settimane o mesi dall’attività svolta dal collaboratore.
Circostanziato e preciso
“Bravo!”; “ottimo!”; oppure: “una schifezza”, “lascia stare faccio io” e via così, non sono feedback dati in modo corretto e quindi utile a chi lo riceve. Tornate con la memoria a quando eravate voi praticanti e il vostro dominus in modo laconico vi diceva si e no se ciò che avevate fatto andava bene oppure no. Nessuna specifica maggiore, niente da cui apprendere cosa IN CONCRETO avevate fatto bene e cosa, invece, dovevate migliorare per il futuro. La conseguenza era che dovevate immaginare voi, dai pochi elementi a disposizione, su cosa lavorare in futuro per migliorare. Si poteva fare di meglio? Certo che sì. Chi ha dato il feedback poteva circostanziarlo meglio, specificarlo e indicare in concreto cosa gli era piaciuto del nostro operato, su quali punti eravamo migliorati e che cosa dovevamo modificare. Solo questo tipo di feedback permette di poter procedere con un piano d’azione migliorativo.
Critica o criticismo?
Molti mi chiedono nei corsi se la critica rientra sotto il tema del feedback. In sostanza, se il feedback può consistere in una critica. La risposta è decisamente sì. A condizione, però, che la critica sia:
- Rivolta al futuro, quindi abbia lo scopo di far elaborare azioni nuove per il futuro
- Sia fatta nell’interesse del destinatario
- Sia precisa nel suo contenuto
Laddove, invece, la critica sia concentrata sul passato, quindi su ciò che ha fatto il destinatario e tutto si svolga lì, allora diventa polemica, quindi criticismo. Questa non serve a nulla, se non far sentire un “minus” il destinatario, quindi ad offenderlo, a schiacciarlo, a umiliarlo.
Stessa cosa se la critica è generica, non permettendo un piano di azione per migliorare, per esempio “sei un deficiente”, “fa schifo il tuo lavoro”, “io non avrei mai presentato un lavoro del genere”. Rientra nel criticismo anche la critica con cui in realtà si vuole solo imporre all’altro il proprio grado di esperienza, di conoscenza, instaurando un rapporto di “dominio di competenze”.
Preservate l’identità dell’altro
Ultimo accorgimento nel dare il feedback è che bisogna sempre tutelare l’identità del nostro interlocutore. In altre parole, non deve essere in discussione “chi sei tu”. Il feedback deve essere concentrato sul fatto, la circostanza e non sulla persona. Se attacchiamo la persona, questa tenderà per forza a difendersi e come lo farà? Reagendo all’attacco. Le strade saranno due, di fronte all’attacco:
- Contrattacco (che porterà all’escalation)
- Fuga (che potrà avvenire mediante alibi e scuse, oppure mediante la c.d. “tecnica del rospo”, cioè l’altro si fingerà “morto”, inerme, di fronte all’attacco).
Ricordatevi, infine, che andrebbe sempre dato per primo il feedback di rinforzo (positivo) e solo dopo quello di miglioramento. In questo modo il vostro interlocutore accetterà meglio il secondo, perché è stato precedentemente gratificato dal primo.
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