“Voglia di donare coccole (in ospedale)” questo il titolo dell’articolo di Valentina Santarpia su Corriere.it che ci colpisce oggi. Non è una novità, in quanto la stessa associazione “I Bambini Dharma” lo aveva già portato, in quel caso per i bambini abbandonati in ospedale. Oggi si allarga a tutta la popolazione di bambini costretti a letto in ospedale per cure mediche.
Coccole: condivisione e comprensione
Cosa c’entra questo con il coaching e con i temi che siamo soliti trattare in questo blog? Bella domanda! C’entra perché alla base di qualunque tipo di relazione e soprattutto di sviluppo, individuale e di team, il tema del “prendersi cura” è centrale. Lo troviamo nelle relazioni familiari e parentelari in generale, lo troviamo nelle relazioni amicali, ma lo troviamo anche in ufficio, nelle relazioni di lavoro. “Prendersi cura” non vuol dire “farsi carico”. Significa condividere (con-dividere) emozioni, esperienze, momenti di vita che il nostro interlocutore sta vivendo. Vuol dire sapersi dedicare per un po’ di tempo all’altro, completamente. Significa recuperare la capacità del “mono-tasking”, del fare una sola cosa alla volta, in questo caso dedicare interesse, attenzione all’altro. L’esito sarà che il nostro compagno di ventura non si sentirà più solo al mondo in quel momento; sentirà di avere qualcuno che lo sta comprendendo (com-prendendo), che è entrato in sintonia con lui.
Dedicare tempo all’altro arricchisce entrambi
Le coccole possono prendere diverse forme: dal contatto fisico della carezza in senso stretto, all’attenzione dedicata, al dono materiale di un bene, ad uno sguardo complice e di sostegno, a parole di conforto.