Fare il professionista vuol dire anche questo. Vuol dire dedicare una quota-parte del proprio tempo a creare un clima in studio positivo, di collaborazione e condivisione. Vuol dire sapere quando intervenire e come nelle situazioni di tensione tra i collaboratori. Vuol dire essere consapevoli che le emozioni, anche in studio, possono fare la differenza tra un gruppo performante e uno dispersivo e conflittuale. E i clienti? Percepiscono, statene certi, se uno studio è un’organizzazione compatta e sincronica, oppure se ciascuno va per la sua strada e alla prima occasione non perde tempo a sfogarsi su ciò che non va.
Sottovalutare questi aspetti perché non c’è tempo, perché non ci competono, perché sono questioni e battibecchi che non ci riguardano, può, alla lunga, avere un suo prezzo.
Come ogni organizzazione di persone, anche lo studio professionale ha proprie dinamiche relazionali che non possono e non devono essere sottovalutate. Lo studio, più ancora che le imprese, è fatto di persone. E queste persone sono professionisti. Sono loro a comporre le competenze dello studio, a dare forma alle sue attività, a fornire un’immagine. Ma sotto la giacca e cravatta o il tailleur batte il cuore di una persona. Sì, un essere umano che interpreta un suo ruolo, inserito in un contesto, con funzioni e responsabilità, ambizioni e problemi, esperienze ed esigenze.
A volte il conflitto è “verticale” tra le gerarchie dell’ufficio, a volte è “orizzontale”, tra colleghi e collaboratori. In entrambi i casi il conflitto porta negatività nell’ambiente di lavoro, porta stress per chi è coinvolto attivamente o passivamente. È, insomma, di ostacolo al raggiungimento dei risultati.
Abbiamo visto in precedenti post di questo blog, alcuni principi fondamentali per prevenire e gestire il conflitto:
– dal non attaccare mai la persona e quindi l’identità dell’altro, allo spostare dalla causa alla soluzione il focus;
– dal lasciare sempre una “via di fuga” per salvare la faccia, al ricontestualizzare temporalmente (reframing temporale) la vicenda; – dal considerare gli interessi in gioco invece che le posizioni di principio e così via.
Bene, tutti questi sono validi principi e modi di procedere per migliorare le relazioni e i necessari attriti che in qualunque ambiente lavorativo si formano; lo studio professionale non si sottrae certo a questa regola.
Per il titolare di studio, il fondatore, i partner, insomma la leadership dello studio professionale, va ricordato che il loro compito più importante potrebbe non essere più tanto quello di portare risultati “diretti”, quanto di creare le condizioni in studio perché i risultati arrivino. Quindi potrebbe non essere più una buona idea quella di procedere in prima persona con le attività di studio esattamente come all’inizio del viaggio professionale; o quantomeno non in modo totalizzante come all’inizio della carriera. Molta acqua è passata sotto i ponti da allora e lo scenario in cui si opera potrebbe essere notevolmente mutato. Per alcuni professionisti questo cambiamento di mentalità e di atteggiamento risulta particolarmente difficile negli anni, abituati come sono dall’essere “operativi”, sempre in prima linea, a contatto col cliente.
È utile dunque fermarsi di tanto in tanto e in questo pit stop fare il punto della situazione, mettere la bandierina come si fa nelle mappe dei grandi centri commerciali per indicare “sono qui”. Il rischio, altrimenti, è di ripetere per abitudine un copione a scenario mutato, risultando così poco efficienti e a volte anche poco utili, o addirittura di ostacolo, al gruppo che intanto negli anni ci siamo costruiti per portare avanti il business che stava crescendo.
Insomma, è quello che spesso capita nei passaggi generazionali: i genitori non si fidano e non vogliono ridefinire il proprio ruolo e il proprio contributo abituati come sono a stare in campo. Bene, anche se non ci sono figli, ma professionisti collaboratori da noi scelti, la musica non cambia. Ci sarà un perché il grande giocatore ad un certo punto capisce che è arrivato il momento di allenare. Come giocatore potrebbe addirittura essere di intralcio, ma come allenatore può fare assolutamente la differenza. Come coach della propria squadra può dar fondo a tutta la sua esperienza e creare le condizioni perché la squadra sia vincente!
E come un buon allenatore, a questo punto, saprà dedicare il giusto tempo a creare il clima di studio “potenziante”, a gestire eventuali attriti e conflitti che potrebbero “tirar giù” la squadra e dare da un altra prospettiva il suo il suo stile al gruppo, che mai come oggi rappresenta nel suo insieme lo studio professionale.