|

Critiche: un bene o un male?

|
Condividi

Indice dei contenuti

“Sei uguale a tua mamma, maledizione!”. “Sei un egoista, non pensi mai agli altri!”. “Sei un bugiardo cronico, con te non c’è nulla da fare!”. Vi ricordano qualcosa?

Critiche, critiche, critiche. E fin qui niente di male. Il punto è: a che pro? Cioè, cosa vogliamo ottenere dalla nostra critica? Sfogarci, colpire l’altro nel suo amor proprio? Farlo riflettere? Farlo cambiare? Farci capire? Ebbene la comunicazione ha delle sue regole che vanno rispettate se vogliamo che sia efficace. Se invece spariamo a caso, raccoglieremo a caso risultati. Se ci facciamo prendere dall’emozione ci torneranno indietro risultati emotivi.

Le critiche possono far crescere o distruggere. Tutto sta nel come le poniamo e come le interpretiamo a seconda che siamo colui che le fa o colui che le riceve. Le critiche, di per sé, sono uno strumento d’oro per la crescita sia di chi le fa, sia, anzi soprattutto, di chi le riceve. Saper gestire le critiche in modo costruttivo significa quindi saper individuare l’intenzione che sta dietro un comportamento o una frase del nostro interlocutore.

La prima regola d’oro da tener presente è quella di tener separato il piano del comportamento di una persona dal piano della sua identità. In altre parole, se vogliamo che il nostro interlocutore ascolti ciò che abbiamo da dire, è utile parlare dei suoi comportamenti che non ci sono piaciuti, di come ci hanno fatti sentire e non di come lui è, della sua personalità e modo di essere. Questo per due ragioni:

  1. perché se colpiamo la personalità dell’altro, questo si vedrà attaccato e costretto a difendersi, quindi si chiuderà al confronto e anzi spianerà a sua volta le sue armi in un gioco di rimpallo di accuse; invece, se la nostra critica riguarda un suo comportamento, sarà circoscritta ad un evento e salvaguardando l’immagine e la personalità altrui permetterà all’interessato di valutare e prendere in considerazione quel comportamento;
  2. perché se colpiamo l’identità dell’altro non gli lasciamo altra via di uscita che togliersi di mezzo; infatti gli stiamo dicendo che lui è il problema, è la causa del nostro malessere, quindi che soluzione potrà adottare?

Quindi ricordiamoci che l’identità altrui va sempre salvaguardata e va sempre lasciata alla persona una via di fuga, un modo per “salvarsi la faccia”. Se mettiamo un animale all’angolo questo quando si vedrà senza via di uscita reagirà con tutte le sue forze, perché quindi noi non dovremmo fare altrettanto?

Infine le critiche perché possano essere utili è necessario che siano circostanziate e non generiche, appunto perché altrimenti non attivano un processo di valutazione e relativa soluzione possibile.

Ciò vale tanto in ambito familiare, pensate al tipico dialogo tra marito e moglie o tra fidanzati, come in ambito lavorativo, pensate alle critiche del vostro capufficio o collega.

Dal lato di chi le riceve, invece un’abilità fondamentale per gestire le critiche è saper estrarre da esse le intenzioni positive di chi le fa. Cioè chi ci critica, in fondo, ci sta dedicando del tempo, probabilmente ci ha a cuore. Una volta ascoltavo il celebre allenatore della nazionale italiana femminile di pallavolo Julio Velasco che diceva che finché un allenatore critica e “bastona” un atleta vuol dire che crede in lui, che punta sulla sua crescita. È nel momento in cui non gli dice più nulla che l’atleta deve preoccuparsi.

Spesso quindi ad una critica formulata, erroneamente, in modo negativo (“non voglio questo”, “non mi piace come ti comporti”, “non sopporto quel tuo modo di rispondere”) la strada migliore è quella di chiedere che venga riformulata in modo positivo: “se questo è ciò che non vuoi, cosa vuoi veramente?”, “se non ti piace come mi comporto, come mi dovrei comportare per piacerti?”)

In alternativa una buona soluzione potrebbe essere quella di riformulare noi stessi la frase-critica in termini positivi facendo emergere l’intenzione dell’emittente: “so che la tua intenzione è quella di riuscire a parlare meglio tra di noi”, “so che ti fa soffrire il mio modo di fare perché non ti senti considerata” ecc.

Un’ultima considerazione utile: ricordiamoci che tutto ciò che comincia con un “perché” mette il destinatario sulle difensive in quanto rappresenta, o può essere percepita, come un’accusa a cui si chiede giustificazione. Ogni volta che la frase comincia con “come”, invece predispone l’altro a trovare una soluzione, cioè proietta la mente in avanti, verso la soluzione e non indietro verso il problema.

E con questo buona giornata!

Mario Alberto Catarozzo

Formatore, Business Coach professionista e Consulente, è specializzato nell’affiancare professionisti, manager e imprenditori nei progetti di sviluppo e riorganizzazione.
È fondatore e CEO di MYPlace Communications, società dedicata al marketing e comunicazione nel business. Nella sua carriera professionale è stato dapprima professionista, poi manager e infine imprenditore. Per questa ragione conosce molto bene le dinamiche aziendali e del mondo del business. Si è formato presso le migliori scuole di coaching internazionali conseguendo le maggiori qualifiche del settore.
Collabora con Enti, Istituzioni e Associazioni professionali e di categoria e lavora con aziende italiane e internazionali di ogni dimensione, dalle pmi alle multinazionali.
È autore di numerosi volumi dedicati agli strumenti manageriali e di crescita personale e professionale. È direttore della collana Studi Professionali di Alpha Test Editore e autore de “Il Futuro delle professioni in Italia” edito da Teleconsul editore.
Professional Certified Coach (PCC), presso la International Coach Federation (ICF).
Per sapere di più sulle attività di formazione, coaching, consulenza e marketing visita i siti:

.
Per info e contatti: coach@mariocatarozzo.it.