Tempo di maturità. Tempo di esami. Il primo di una lunga serie che scandirà la vita delle giovani generazioni così come ha scandito la vita dei quarantenni e cinquantenni d’oggi. Uno dei temi proposti quest’anno sull’attualità, tra crisi, lavoro e soluzioni innovative riguarda Montale, i giovani, la crisi e un frammento del famoso intervento di Steve Jobs all’Università di Stanford nel 2005 conclusosi col “siate affamati, siate folli” (stay hungry, stay foolish).
E se quello stesso tema, oggi, lo sottoponessero a chi è già in campo a giocare la partita come professionista dei numeri o delle regole, commercialisti e avvocati in primis?
Sarebbe interessante confrontare lo sguardo fresco e ancora carico di sogni di chi vive, per usare un gergo calcistico, nei vivai giovanili in attesa di scendere in campo nella squadra di prima categoria per la partita vera, con chi quella partita se l’è o se la sta ancor giocando con molti meno sogni e più realismo. Come risponderemmo con anni di esperienza alle spalle? Cosa consiglieremmo ad un giovane dopo aver, ciascuno suo malgrado, visto prima o poi infrangersi l’entusiasmo dei sogni e dei progetti sugli scogli della realtà, sempre più dura di come ce l’eravamo aspettata? Che cosa diremmo oggi a chi ha, e deve continuare ad avere, quel fuoco dentro che come ogni nuova generazione purifica gli errori delle precedenti, come ogni buon contadino fa delle steppe invernali all’inizio di ogni nuova primavera? Saremmo ancora capaci di riconoscere questa esigenza nel nuovo che si affaccia, di non smorzarla con il nostro cinismo acquisito sul campo, con la durezze difensiva che abbiamo gioco forza dovuto conquistare come un trofeo da esporre in bacheca? Sapremmo riconoscere da adulti, come il buon vecchio padre di famiglia – come fece Zeus col figlio Prometeo che quell’ordine dato non voleva riconoscere – che il nostro ordine, la nostra esperienza, le nostre delusioni potranno essere la base per un mondo migliore dei nostri figli?
Ci parliamo “addosso” dalla mattina alla sera. Ci lamentiamo, in continuazione, come in un circolo dantesco infernale da cui non vi è via di scampo. Stessi movimenti ogni giorno, stesse parole ripetute col pilota automatico. Stessa emotività congelata per non sperare più, perchè crederci (molti pensano) può fare più male che non crederci più.
Cosa potremmo dire oggi ad un figlio che affronta la maturità (sua, in una società che l’ha certo raggiunta)? Che Steve Jobs nel suo essere folle e affamato, nella sue straordinaria unicità, aveva saputo mantenere quel fuoco sacro delle passioni, dei desideri, ma che è un’eccezione, americana per giunta? Che non è un esempio “reale”? Che la realtà è un’altra? che è meglio abbandonare presto passioni e sogni per prendere contatto con questa (triste) realtà?
No! E ancora no!
Vai, innova, costruisci, sbaglia e ricostruisci. Mantieni vivo l’entusiasmo, la voglia di meravigliarti, di provare e riprovare.
La crisi, prima ancora che economica e di lavoro, è di ideali, passioni e coraggio. Persi questi, non avrai più nulla che valga la pena.