Oggi ci dedicheremo a viaggiare nel nostro cervello, per capire come funziona dal punto di vista del pensiero, dell’apprendimento e della memoria.
Cos’è il pensiero?
Il pensiero è la risultanza di impulsi elettro-chimici che attraversano circuiti neuronali, quindi milioni di neuroni che si collegano tra di loro per creare connessioni (sinapsi), dove ciascun collegamento rappresenta un ricordo, un pensiero. Il pensiero umano funziona con il principio associativo e le esperienze delle nostra vita, così come i processi di apprendimento volontari (lo studio, per esempio), creano e modificano i circuiti neuronali. Questa capacità del cervello si chiama plasticità neuronale. Dove si creano le informazioni? Dove vengono memorizzate e immagazzinate?
Come si formano le abitudini
Ogni qual volta facciamo un’esperienza nuova, creiamo fisicamente nuove connessioni (migliaia) tra neuroni ed è in questi circuiti che viene costruita e conservata l’informazione. Più utilizziamo questi circuiti ripetendo l’informazione, più le vie neuronali dedicate a quell’informazione si consolidano e rinforzano, rendendo più veloce la trasmissione elettrochimica dell’informazione al proprio interno. La conseguenza è che per un principio di economicità (uno dei principi con cui funziona il nostro cervello) il cervello tenderà ad utilizzare queste vie con precedenza sulle altre, perché più veloci e man mano l’uso di questi schemi di pensiero e di azioni ripetuto diventa talmente veloce, automatico e inconscio da diventare un’abitudine. Ecco come si formano i nostri comportamenti abitudinari: si crea un circuito, si utilizza ripetutamente diventando routine, si continua ad utilizzare diventando abitudine. Ulteriore conseguenza è che le vie neuronali poco e per niente utilizzate tendono ad “atrofizzarsi” fino a scomparire.
Come cambiare le abitudini
Da queste considerazioni si capisce perché, se si vuole modificare un comportamento o un modo di pensare, bisogna agire creando un’alternativa di pensiero o comportamentale in modo che da quel momento in poi si focalizzi l’attenzione su quella nuovo schema. Così facendo il nuovo schema di pensiero e comportamento diventerà sempre più efficiente e automatico e il vecchio si atrofizzerà fino a scomparire. Il cambiamento ha, dunque, oltre ad una spiegazione di tipo psicologico, una ragione di tipo neurologico: ogni qual volta impariamo qualcosa di nuovo letteralmente “accendiamo” nuove aree del cervello e creiamo nuove connessioni modificando il cervello, è questo il fenomeno della plasticità neuronale. Gli studi dell’ultimo ventennio hanno dimostrato che non è vero, come si pensava un tempo, che i neuroni tendono a morire senza rigenerarsi.
Neurogenesi
Come altre cellule, anche quelle neuronali si rigenerano nell’arco della vita. Quindi il decadimento delle funzioni cerebrali non è dovuto ad un numero inferiore di neuroni quanto ad altre ragioni. Escludendo i casi di patologie, la principale ragione risiede nel fatto che gli adulti, a differenza dei bambini, invece di essere curiosi e cercare nuove esperienze, guardare il mondo con meraviglia e attenzione per apprendere, cercano di fare esattamente l’opposto. L’adulto, creatosi delle abitudini, cerca di vivere all’interno di esse, cerca di ripetere le stesse movenze, comportamenti e schemi all’infinito. Questo per pigrizia, per economicità di risorse che con l’età cominciano a scarseggiare e per paura della novità. Il mantenersi all’interno del “conosciuto” ha anche questo aspetto psicologico di “andare sul sicuro”, quindi di lenire l’ansia dell’ignoto. Invece, è proprio nella novità, nel cambiamento, nelle nuove conoscenze, nelle nuove esperienze, nella capacità di mantenere gli occhi freschi e il cuore aperto alla meraviglia di ogni giorno che ci si mantiene giovani e vitali. È il vero allenamento della nostra mente.
Prepararsi al cambiamento
Tornando alle vecchie abitudini, quanto sopra spiega la ragione per cui non si possono perdere vecchie abitudini e comportamenti se ci si concentra su di essi dicendo cosa NON si vuole più fare. Più si parla di ciò che non va e non piace e più, paradossalmente, si rinforzano i relativi collegamenti alla base del comportamento. A ciò si aggiunga che il nostro cervello non processa (o lo fa in ritardo) le negazioni, per cui ciò che resta è il comando sottostante inconscio (comandi ipnotici). Dire, per esempio, “non preoccuparti”, “non fare quella cosa”, non voglio quella cosa”, “non pensare così”, “non voglio più essere grasso”, “non voglio più fumare” ecc. è sbagliato, anzi è controproducente, perché rinforza proprio il circuito neuronale alla base della cattiva abitudine che vogliamo eliminare.
