L’ISTINTO DI FAR GRUPPO
Siamo esseri sociali e sin dalla notte dei tempi i nostri antenati avevano capito che fare gruppo, stare insieme avrebbe rappresentato un fattore molto importante per la sopravvivenza.
Per questa ragione l’uomo, a differenza di altri animali, ha imparato a vivere in comunità, per essere protetto e avere più possibilità di sopravvivere in un ambiente ostile.
Per vivere in gruppo bisogna però essere accettati e per poterci rimanere è necessario essere conformi alle regole del gruppo. Per centinaia di migliaia di anni questo è stato un elemento base della vita sulla Terra per l’uomo: l’accettazione.
Dietro l’accettazione, tuttavia, si nasconde il giudizio che come un setaccio separa chi è conforme da chi non lo è. Il giudizio è divenuto ben presto fonte di ansia per la persona, perché un giudizio negativo avrebbe potuto portare all’esclusione dal gruppo e quindi essere destinati alla solitudine, paura atavica dell’essere umano.
Pensiamo inoltre che il cucciolo di uomo, il bambino, per molti, molti anni è privo di autonomia e necessita delle cure parentali per crescere ed essere protetto.
L’ACCETTAZIONE
Anche qui il tema dell’accettazione si fa centrale: se i miei genitori mi rifiutano mi abbandonano e se mi abbandonano che ne sarà di me?
Questa paura dell’abbandono è quella più profonda e comune in tutti i bambini, a prescindere dal comportamento dei genitori. Se poi i genitori ci mettono il carico da novanta con ricatti affettivi, minacce esplicite di abbandono se non si fa i bravi, non si è educati, non si è come loro si aspettano, beh allora l’ansia diventa davvero tanta.
In questi casi il bambino capisce subito il rischio che corre e cerca di adeguarsi alle richieste genitoriali, cerca di essere come loro si aspettano per non essere abbandonati, per non rischiare di essere rifiutati.
Così facendo ben presto si allontanano dalla ricerca di sé, dall’atteggiamento esplorativo che dovrebbe portare a conoscersi meglio e a formarsi la propria personalità, e cominciano a formare quell’immagine di sé che gli altri vogliono vedere, in modo da rischiare meno di essere sbagliati e quindi espulsi dal gruppo.
Ed ecco che la paura del giudizio diventa un file rouge che accompagna la vita di una persona; cambiano i contenuti, ma non cambia la sostanza. Se da piccoli cercavamo di prendere dei bei voti a scuola, da adulti cerchiamo di fare bene il nostro lavoro, oppure di tenere bene la casa, o ancora di essere in forma per essere gradevoli esteticamente.
Molti lettori di questo articolo potrebbero osservare che i propri figli oggi non hanno queste paure, infatti sono disordinati, non danno retta a quello che i genitori dicono, non gli interessa essere educati. Vero, in quanto noi genitori, memori di quanto abbiamo subito da piccoli, abbiamo cercato di rassicurarli in tutti i modi, quasi invertendo l’ordine degli addendi ed avere paura noi genitori di non essere all’altezza per i propri figli (anche questo un retaggio che ciascuno si porta da piccolo).
LA PAURA CHE CI BLOCCA
La verità è che i nostri figli hanno paura tanto quanto l’avevamo noi del giudizio, solo che ci sono due fattori nuovi oggi che hanno cambiato le cose:
1) oggi la necessità è di essere accettati non solo dalla famiglia, ma dalla comunità allargata che ben presto si crea con i social network;
2) la relazione genitore-figlio è mutata, per cui si hanno meno occasioni di un tempo di pensare alla possibilità di essere rifiutati, in quanto i genitori continuano a rassicurare in questo i propri figli in tanti modi quotidianamente.
Questa è la dinamica in cui la paura del giudizio si inserisce; ma che cos’è la paura del giudizio? Come si può affrontare? E soprattutto, come si può superare?
Affronteremo queste risposte e le relative tecniche nel bellissimo evento ZERO PAURE che terrò a Milano.
Le edizioni sono state un successo e i posti sono limitati, perché non posso lavorare con più di un certo numero di persone in aula.
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