Cervello giovane, cervello veccchio. Sarà un fatto di età anagrafica? Mmhh…non proprio. Escludendo patologie da quanto diremo, vedremo che l’età del cervello è più che altro un fattore di allenamento e di utilizzo, più che di vecchiaia in senso cronologico del termine. Certo gli anni pesano come su tutti gli altri organi, ne riducono elasticità e funzioni, ma in relatà quella scatola che abbiamo sopra il nostro collo ha talmente tante potenzialità che non sarà certo l’annetto in più a rappresentare un problema.
Lo è più che altro il divano di casa, la televisione, le abitudini ripetute all’infinito, la prigrizia di fare una cosa nuova ogni giorno, la mancanza di curiosità e la mancanza di passioni che ci spingono a guardare sempre un po’ più in là. Ogni qual volta noi facciamo un’esperienza nuova, creiamo fisicamente nuove connessioni (migliaia) tra neuroni ed è in questi circuiti che viene costruita e conservata l’informazione, l’esperienza del vissuto. Più utilizziamo questi circuiti, ripetendo l’informazione, più le vie neuronali dedicate si consolideranno fino a rendere quel nuovo comportamento associato all’informazione un’abitudine. La conseguenza è che, per un principio di economicità, il cervello tenderà ad utilizzare queste vie con precedenza sulle altre, perché più veloci e man mano l’uso di questi schemi di pensiero e di azioni diventa talmente veloce, automatico e inconscio da diventare un’abitudine.
È così che da bambini abbiamo imparato a leggere e scrivere; è così che abbiamo imparato a guidare e a sciare o ad andare in bicicletta. Ogni qual volta, invece, non abbiamo “coltivato” quella nuova informazione, per esempio una lingua straniera imparata a scuola e poi abbandonata lì, ecco che i circuiti che avevamo creato per immagazzinare quella informazione e capacità si sono andati man mano indebolendo fino a “sciogliere” i legami e quindi la struttura stessa è venuta meno.
Non è vero che invecchiando il cervello perde capacità per diminuzione di neuroni. È vero invece che il cervello se non sollecitato opportunamente tende a perdere elasticità e quindi performance. Essere curiosi, imparare sempre cose nuove mantiene attivo e giovano il cervello.
Ma quali sono i meccanismi principali per memorizzare e mantenere le informazioni. Discorso complesso che in questa sede possiamo riassumere per semplicità in due meccanismi: la ripetizione dell’informazione e del comportamento (ecco perché ripetendo più volte un numero di telefono alla fine si memorizza sul medio-lungo periodo) e l’associazione a qualcosa di emotivamente coinvolgente (ecco perché il primo bacio non si scorda mai, oppure la nascita di un figlio o un fatto traumatico come un incidente). Ulteriore conseguenza è che le vie neuronali poco e per niente utilizzate tendono ad “atrofizzarsi” fino a scomparire. Da queste considerazioni si capisce perché, se si vuole modificare un comportamento o un modo di pensare, bisogna agire creando un’alternativa di pensiero o comportamentale in modo che da quel momento in poi si focalizzi l’attenzione su quella nuovo schema. Così facendo, il nuovo schema di pensiero e comportamento diventerà sempre più efficiente e automatico e il vecchio si atrofizzerà fino a scomparire. Il cambiamento ha, dunque, oltre ad una spiegazione di tipo psicologico, una ragione di tipo neurologico: ogni qual volta impariamo qualcosa di nuovo letteralmente “accendiamo” nuove aree del cervello e creiamo nuove connessioni modificando il cervello, è questo il fenomeno della plasticità neuronale. Gli studi dell’ultimo decennio hanno dimostrato che non è vero, come si pensava un tempo, che i neuroni tendono a morire senza rigenerarsi. Come altre cellule, anche quelle neuronali si rigenerano nell’arco della vita. Quindi il decadimento delle funzioni cerebrali non è dovuto ad un numero inferiore di neuroni quanto ad altre ragioni. Escludendo i casi di patologie, la principale ragione risiede nel fatto che gli adulti, a differenza dei bambini, invece di essere curiosi e cercare nuove esperienze, guardare il mondo con meraviglia e attenzione per apprendere, cercano di fare esattamente l’opposto. L’adulto creatosi delle abitudini cerca di vivere all’interno di esse, cerca di ripetere le stesse movenze, comportamenti e schemi all’infinito. Questo per pigrizia, per economitià di risorse che con l’età cominciano a scarseggiare e per paura della novità. Il mantenersi all’interno del “conosciuto” ha anche questo aspetto psicologico di “andare sul sicuro”, quindi di lenire l’ansia dell’ignoto. E invece è proprio nella novità, nel cambiamento, nelle nuove conoscenze, nelle nuove esperienze, nella capacità di mantenere gli occhi freschi e il cuore aperto alla meraviglia di ogni giorno che ci si mantiene giovani e vitali. E’ il vero allenamento della nostra mente.
Tornando alle vecchie abitudini, quanto sopra spiega la ragione per cui non si possono perdere vecchie abitudini e comportamenti se ci si concentra su quelli dicendo cosa NON si vuole fare. Più si parla di ciò che non va e non piace e più si rinforzano i relativi collegamenti alla base del comportamento. A ciò si aggiunga che il nostro cervello non processa (o lo fa in ritardo) le negazioni, per cui ciò che resta è il comando sottostante inconscio. Così dire “non preoccuparti”, “non fare quella cosa”, non voglio quella cosa”, “non pensare così”, “non voglio più essere grasso”, “non voglio più fumare” ecc. è sbagliato, anzi controproducente.
Per oggi, allora, fate il vostro buon proposito, decidete di fare una cosa completamente nuova e regalate al vostro cervello nuove connessioni.