Saper comunicare vuol dire sapersi far comprendere e comprendere le opinioni e anche le emozioni e gli stati d’animo. In uno studio professionale convivono persone che lavorano insieme e mentre lo fanno condividono personalità, esperienze e caratteri. Molto facile, dunque, è che si generino conflitti, anche in buona fede, che se non gestiti sfociano in veri e propri scontri o, peggio ancora, in guerre fredde all’interno dello Studio. Tutto ciò non solo fa decadere il clima interno, ma incide sulla motivazione dei singoli e sulle loro performance, in ultima analisi, sulle performance dello Studio e sulla sua capacità di produrre valore.
Trattiamo dunque il tema centrale dei conflitti e della loro gestione in ambito professionale. La comunicazione efficace risulta centrale anche in questo ambito.
GLI SCENARI DEL CONFLITTO
Sono due le situazioni in cui è possibile trovarsi a gestire un conflitto:
- quando siamo parti in causa;
- quando siamo terzi chiamati a dirimere il conflitto.
In quest’ultima ipotesi si aprono poi due diversi scenari: se siamo arbitri di fatto del conflitto, per esempio se siamo il capo chiamato a gestire una diatriba tra collaboratori, oppure se siamo in un ambito “istituzionale” di mediazione (civile o familiare).
Saper comunicare in modo efficace non vuol dire avere la capacità di convincere l’interlocutore, né saper ottenere ragione; queste due situazioni rientrano nella retorica e dialettica, comunicazione persuasiva, altra cosa rispetto alla comunicazione efficace trattata in questa sede.
Saper comunicare (saper mettere in comune) vuol dire innanzitutto capirsi, saper condividere e solo dopo aver fatto questo, cercare un punto di incontro.
SAPER COMUNICARE
Quali sono gli elementi che caratterizzano la comunicazione efficace?
Possiamo sintetizzarli in tre momenti peculiari:
- capacità di essere assertivi;
- capacità di fare domande aperte;
- capacità di ascolto attivo.
Dette così sembrano semplici, se non ovvie, ma vediamole da vicino per capire meglio in cosa consistono queste attitudini alla comunicazione.
COMUNICARE CON ASSERTIVITÀ
Capacità di comunicare in modo assertivo
Per poter instaurare relazioni positive e quindi prevenire innanzitutto i conflitti, oppure gestirli laddove insorti, va sviluppata la capacità di saper comunicare ciò che pensiamo e ciò che proviamo in modo assertivo. Per assertivo si intende la capacità di manifestare sia il nostro pensiero e opinione (elemento razionale), sia le nostre emozioni e sentimenti o stati d’animo (elemento emotivo) in modo da affermare noi stessi e mettere in condizione l’interlocutore di venirne a conoscenza senza fraintendimenti. In sostanza, essere assertivi è l’opposto del “tenersi dentro le cose”, oppure dell’essere concilianti ad ogni costo e plasmarsi così sui desideri e opinioni degli altri. L’assertivo riesce con le dovute modalità a prendersi i propri spazi e i tempi, in modo da far conoscere agli interlocutori il proprio pensiero e i propri sentimenti. Il non assertivo, invece, tende a plasmarsi come l’acqua in un contenitore sulle esigenze e opinioni degli altri, salvo poi esplodere come una pentola a pressione di fronte alla classica goccia che ha fatto traboccare il vaso, accusando poi tutto il mondo di non comprenderlo e di non ascoltarlo. L’assertivo riesce a comunicare il proprio punto di vista senza prevaricare l’altro e senza essere prevaricato dall’altro. In questo modo si può realizzare un vero dialogo, un confronto tra le parti e non uno scontro.
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COMUNICARE CON LE DOMANDE APERTE
Imparare a fare domande aperte
Questo è una nota dolente per moltissimi. Se prestate attenzione, vedrete che il più delle volte non siamo è abituati a fare domande al nostro interlocutore; intendo domande vere, non giudizi camuffati da domande (retoriche). Molti sentenziano invece di chiedere, intuiscono, immaginano, interpretano, fanno i lettori della mente altrui. Nascono così equivoci, fraintesi e si prendono cantonate galattiche. Quante volte è capitato a ciascuno di noi di aver interpretato quella email in un certo modo, oppure di aver intuito ciò che l’altro intendeva con quel comportamento, per poi dover toccare con mano di aver decisamente sbagliato? Intanto però il danno (relazionale) è fatto. Il nostro interlocutore si è visto appioppare intenzioni che non aveva; si è visto distorcere il proprio pensiero dall’interpretazione soggettiva altrui; si è visto accusare di cose mai dette o fatte. Una volta fatto il danno entrano poi in gioco l’orgoglio, la vergona, il senso di colpa, la rabbia, la frustrazione, la delusione. Gli ingredienti ci sono tutti per un mix esplosivo e infatti spesso si finisce a fare discussioni intorno al nulla e a cercare ragioni arrampicandosi sugli specchi.
Tutto cambia laddove nella comunicazione relazionale si impara a sostituire le interpretazioni soggettive e la lettura della mente altrui con le domande. Semplice, in fondo. Domande vere, però. Cioè domande che non sottendono un giudizio, una risposta e che sono aperte, ciò permettono all’interlocutore di argomentare il proprio punto di vista (razionale) e le proprie sensazioni (emotive). Le domande chiuse sono quelle che, invece, pongono un’alternativa di risposta: si o no, vero o falso.
Invece di sostituirci all’interlocutore d’ora in poi proviamo a chiedere cosa ha capito, cosa pensa, cosa prova, cosa sente, cosa lo ha spinto a fare una certa cosa e via dicendo. Per dirla in “giuridichese”, andiamo all’interpretazione autentica del pensiero altrui, chiedendo allo stesso autore spiegazioni e chiarimenti.
SAPER ASCOLTARE ATTIVAMENTE
Allenare l’ascolto attivo
Una volta imparato a fare più domande aperte, va da sé che dobbiamo allenare anche l’attitudine all’ascolto. Anche qui sembra di dire cose scontate, ma l’esperienza ci dice che ben pochi sono coloro che sanno davvero ascoltare gli altri. Va detto inoltre che l’ascolto è una attitudine più presente nelle donne che negli uomini, ma al di là di questo, pochi, davvero pochi sanno dedicarsi a quanto l’altro sta dicendo. L’ascolto attivo è infatti l’ascolto dedicato, interessato. Si realizza quando non semplicemente si sente l’interlocutore, ma quando si partecipa a ciò che sta dicendo. Questo è ascolto attivo, elemento fondamentale per coltivare l’empatia, la sintonia tra le persone.
Oggi l’ascolto attivo è decisamente più difficile di un tempo, complice lo stress, la velocità delle attività, ma anche la tecnologia. Sarà capitato un po’ a tutti di parlare con un interlocutore che di fronte alle nostre parole distoglie lo sguardo digitando sul cellulare, oppure sulla tastiera del computer. Hai voglia in questi casi a sentirti dire “tu continua pure, io ti seguo…”. Sì mi seguirai pure, ma non mi stai guardando, non sei con me. L’interlocutore capta, più che ascolta, sente qua e la, più che condividere. Poi, sulla base dei frammenti captati risponde e dice la sua, come se avesse chiaramente seguito punto per punto.
CONCLUSIONI
In conclusione, ricordiamoci che comunicare per gestire i conflitti vuol dire innanzitutto comprendersi, confrontarsi apertamente, interessarsi in modo genuino al punto di vista altrui e saper ascoltare dando spazio all’altro. Dedicare tempo a queste attività e prendersi cura dei collaboratori e del team non è tempo perso, bensì un ottimo investimento, perché dal clima e dalla motivazione nasceranno performance, qualità di vita, qualità dei risultati e buona immagina verso i clienti e, al contrario, dal disinteresse verso questi aspetti nasceranno esattamente i risultati opposti, un vero e proprio danno, sotto tutti i punti di vista. Comunicare, insomma, conviene, oltre che è bello.
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