Parliamo oggi di abitudini, buone e cattive. Un’abitudine è la ripetizione automatica di gesti, pensieri, modi di fare, che sono stati così allenati da non passare più dalla coscienza e non richiedere più attenzione. Si viaggia col pilota automatico, senza pensare. Guidiamo l’auto senza pensare più ai singoli movimenti di guida, come mettere la freccia o guardare nello specchietto retrovisore o cambiare marcia. Facciamo sempre la stessa strada per andare al lavoro; apriamo i social sul telefonino con movimenti automatici; andiamo nello stesso bar a prendere il caffè, sempre lo stesso; accendiamo il computer, digitiamo password, salutiamo allo stesso modo, mangiamo alla stessa ora, mangiamo la frutta a fine pasto…potremmo continuare a lungo.
Tutte queste sono abitudini, comportamenti a cui non facciamo più caso, perché ripetuti all’infinito giorno per giorno.
Tutta questione di velocità
Le abitudini fanno parte di un meccanismo di euristica, cioè di semplificazione del nostro modo di vivere, che ci permettono di risparmiare tempo ed energie. Pensate se ogni giorno dovessimo fermarci a prendere decisioni sul come guidare in auto, sui gesti da compiere per aprire una porta, sul come salire le scale mobili; spenderemmo troppo tempo e troppe energie. Per questo il nostro software mentale, che utilizza un principio di “economia”, ha elaborato come soluzione le abitudini, per permetterci risposte veloci, a basso consumo energetico e già sperimentate quanto agli effetti.
Una strategia per tutto
Piccolo problema è che accanto alle buone abitudini, quindi comportamenti e modi di pensare funzionali, esistono anche cattive abitudini, disfunzionali, appunto. L’essere umano è strategico per definizione, non fa nulla senza una ragione e uno scopo. Il punto è che a volte gli scopi non sono ben definiti, oppure cambiano nel tempo, mentre i comportamenti abitudinari restano sempre gli stessi. Ecco allora che quel modo di pensare o di comportarsi un tempo utilissimo… oggi non lo è più. Questa è la sfida del cambiamento, riuscire ad essere consapevoli del contesto e dei suoi mutamenti e cambiare con esso, adeguarsi. L’evoluzione umana si è retta proprio intorno a questo principio evolutivo, cioè la capacità di adattamento. Come ci insegna lo zio Charles (Charles Darwin)
“Non è il più intelligente della specie e neppure il più forte a sopravvivere, bensì colui che si adatta meglio ai cambiamenti”.
Flessibili o rigidi?
Ecco che la flessibilità e l’adattabilità diventano doti fondamentali per avere successo nella vita e per vivere felici. La rigidità, al contrario, è un problema. Spesso vengono scambiati questi due concetti con categorie morali: il flessibile è un incoerente e il rigido uno legato ai propri valori. Ma non è così! Sbagliato! Flessibilità vuol dire elasticità, capacità di mettersi in discussione e capacità di essere consapevoli. Rigidità è spesso pigrizia, paura, incapacità di fare scelte nuove.
Cerchiamo di capire allora cosa porta a diventare l’essere umano “abitudinario per natura” e come possiamo introdurre cambiamenti utili a vivere bene e avere risultati nella vita.
Come nasce un’abitudine
Dal punto di vista neurologico, l’abitudine nasce quando alimentiamo ripetutamente un circuito neurale. In sostanza, come abbiamo visto, il pensiero e l’azione nascono da un cablaggio di neuroni che si avvicinano l’un l’altro formando una rete di connessioni. Per il principio della plasticità neuronale, più noi alimentiamo (quindi utilizziamo) quel circuito, più lo rinforziamo e l’impulso elettro-chimico di cui si compone il nostro pensiero viaggia veloce. In base al principio di economia, il nostro cervello tende ad utilizzare prevalentemente i circuiti neurali più veloci, che pertanto verranno utilizzati ancora più di frequente. Ecco che nasce quel circolo virtuoso o vizioso (a seconda che siano abitudini funzionali o disfunzionali) che si chiama abitudine.
Come possiamo, dunque rendere un modo di pensare e di agire un’abitudine?
Semplice: dobbiamo ripetere, ripetere, ripetere.
La ripetizione è la mamma di tutte le abilità.
Solo così rinforzeremo il relativo circuito neuronale, finchè sarà così forte da essere scelto automaticamente dal cervello in un meccanismo automatico di stimolo-risposta. Ecco, è nata una nuova abitudine. Da qui possiamo capire perché i cambiamenti sono in discesa. Il difficile è iniziare, rompere il ghiaccio, poi, una volta che la strada è tracciata, sarà sempre più semplice percorrerla.
Come cambiare un’abitudine
Chiediamoci allora come possiamo cambiare abitudini disfunzionali. L’errore tipico è lavorare su ciò che non funziona. Infatti, continuando a pensare ciò che non dobbiamo fare, ciò che non va etc…, paradossalmente alleniamo il circuito neurale che sottende il comportamento disfunzionale, rinforzandolo. Cosa fare allora? Dobbiamo allenare l’alternativa che vogliamo introdurre, finchè questa diventi più forte dell’altra e quindi diventi la nuova abitudine che sostituirà quella disfunzionale. Pensate ad un’abitudine alimentare che volete modificare, per esempio prendere il caffè senza zucchero. Non dovete continuamente dirvi che il caffè deve essere senza zucchero, ma dovete solo cominciare a berlo amaro. All’inizio vi farà schifo, ma tenete duro. Volta per volta migliorerà, finchè vi verrà automatico berlo amaro e vi sembrerà strano chi mette lo zucchero.
Ricordate, infine, che ogni cambiamento è come una samba: un passo avanti, un passo indietro, un passo a lato. Una volta vi riesce, una volta vi sembra di ripiombare indietro, una volta vi riesce a metà.
Tenete duro, la costanza è la base del cambiamento e del successo.