È la fiducia che richiede un po’ di attenzione. Spesso infatti tendiamo ad accumunare i due termini quando in realtà si riferiscono a situazioni diverse. Questioni di lana caprina, direte voi?! Beh, diciamo che dietro le parole sono ancorate emozioni, ricordi, situazioni e…stati d’animo, per cui saperle usare correttamente aiuta ad aiutarsi nell’arco della giornata
Il dialogo interno – quella vocina che sistematicamente accompagna i nostri gesti – è composta di parole. Ok, parole mentalmente ripetute, nel silenzio della nostra capoccia, ma sempre parole sono e sono potentissime nel determinare il nostro stato d’animo. Se dobbiamo affrontare un colloquio di lavoro, piuttosto che un’udienza penale, piuttosto che parlare al consiglio di amministrazione, farà certamente la differenza lo stato d’animo in cui ci metteremo. E quello stato d’animo lo determineremo in buona parte da cosa ci sapremo dire nella nostra testolina.
Vi ricordate cosa ci passava nella testa prima di un esame all’università? “Non ricordo nulla”, “Non so nulla”, “Speriamo che non mi chieda proprio quel capitolo”, “Farò una figura di m…” ecc. ecc. Do you remember? Ecco, quello lì era il dialogo interno. E oggi possiamo dire che era un dialogo interno depotenziante, cioè che ci serviva a metterci in uno stato d’animo negativo, non adatto ad affrontare al meglio la situazione. Furbo? Mmhh, poco.
Quello stesso dialogo interno è ciò che ci ha permesso di approcciare la prima volta la nostra dolce metà chiedendole se voleva uscire con noi. È quello che ci ha permesso di andare a vivere da soli, di aprire lo studio professionale, di acquisire un nuovo cliente. Questo, però, era il dialogo interno potenziante, il fratello buono del precedente. In queste situazioni ci siamo detti tra noi e noi che ce l’avremmo fatta, che avrebbe detto di sì, che saremmo stati capaci. Questo dialogo interno ci ha aiutato ad affrontare le situazioni che, ne più ne meno come le prime, erano sconosciute. Se ci fossimo anche qui detti “no, non le chiedo di uscire, tanto uno come me non lo cagherà mai”….ecco non glielo avremmo mai chiesto (e forse oggi saremmo più felici…scherzo).
Cosa ha determinato un risultato piuttosto che un altro? Il successo dall’insuccesso? Il dialogo interno=ciò che ci siamo detti nel silenzio della nostra mente.
Col tempo, poi, ci siamo formati un’immagine di noi stessi, un’idea su chi siamo e cosa siamo capaci di fare.
Molti anni fai scoprii che esiste, oltre i classici 5 sensi, un senso chiamato propriocezione. La propriocezione è la percezione che abbiamo del nostro corpo nello spazio. È quello che ci permette anche di stare in equilibrio e di sapere in che posizione ci troviamo anche ad occhi chiusi. Questa cosa mi colpì, perché nessuno mi aveva mai detto della presenza di questa capacità. E subito scattò la fame di sapere. Approfondii e così venni a conoscenza del fatto che abbiamo recettori specifici cutanei e sottocutanei deputati a tale funzione. Ma ciò scatenò una serie di considerazioni e ulteriori approfondimenti. Esattamente come abbiamo questo senso a livello fisico, lo avremo – pensai – a livello psicologico, mentale. Così, come mi posso allenare e fare esercizi per coltivare e aumentare la mia percezione fisica, il controllo del mio corpo, allo stesso modo potrò farlo con quella mentale. Ecco che mi approcciai a diverse discipline orientali, dalle arti marziali, allo yoga, alla meditazione. Pfiiuuuu…catapultato in un altro modo di vedere le cose. E le cose, le stesse cose, viste in modo diverso, appaiono diverse.
E così, più ci alleniamo a “sentire” i nostri pensieri più ne diventiamo esperti. Più coltiviamo il dialogo interno con delicatezza e rispetto per noi stessi e più ne diventiamo consapevoli. Ciò comporta che man mano, mentre abbiamo percezione fisica di noi nelle situazioni, diventiamo capaci di avere percezione mentale, di essere presenti ai nostri pensieri e quindi di “vedere” il dialogo interno in funzione. Questo vuol dire diventare consapevoli degli schemi mentali con cui affrontiamo le situazioni – che sono i nostri limiti – e in ultimo vuol dire, alla luce di questa nuova consapevolezza, poterli modificare. L’obiettivo? Aiutarci e non ostacolarci da soli, boicottarci. C’è sempre una strategia sotto ogni comportamento, ricordiamocelo. Dobbiamo diventare abili a sviluppare strategie utili a noi, strategie che ci facilitino il compito e non che ci rendano tutto più difficile. Invece, grazie a famiglia, scuola e ambiente sociale, mediamente siamo diventati tutti bravissimi nello sviluppare strategie depotenzianti che poi difendiamo a spada tratta per il resto della nostra vita come qualcosa di buono, aggrappati a questo scoglio, come se fosse l’unico…
Quindi, se l’autostima riguarda ciò che siamo (meglio, pensiamo di essere), la fiducia riguarda ciò che siamo capaci di fare. Più dimostriamo a noi stessi di essere capaci di affrontare una situazione, più cresce la fiducia in noi e nelle nostre abilità. Dunque dialogo interno, fiducia e autostima, alla fine sono tutti fili di uno stesso tessuto, la storia della nostra vita e, soprattutto, la storia che ci raccontiamo della nostra vita.
Bene, è arrivato un altro sabato di marzo con un sole-meraviglia là in alto. Andiamo fuori!