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Coaching oncologico: la mia esperienza col tumore

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Cosa può offrire il coaching in termini di strategie mentali a chi sta affrontando una delle battaglie più difficili della vita, il cancro? Si suole parlare di coaching oncologico o cancer coaching per indicare le risorse che il coaching può offrire in termini olistici a chi deve affrontare questa sfida, che oltre ad essere fisica è anche mentale.

Va subito specificato per chi non conosce il coaching, che il coaching non ha nulla a che vedere con la psicoterapia, non ha funzione curativa e non ha nulla a che fare con psicologia e counselling; il coaching è una disciplina che lavora sul presente per allenare strategie di pensiero affinché diventino una nuova forma mentis; lavora sulla consapevolezza e sulla mentalità; e poiché le emozioni sono prodotte principalmente dai nostri pensieri, automaticamente lavora anche sulla gestione delle emozioni.

IL MIO INCONTRO CON IL CANCRO

Oggi però non vi voglio parlare di teorie studiate sui libri o apprese nei lunghi anni di attività come coach e formatore. No, oggi vi voglio raccontare la mia storia.

Il 25 novembre 2018 nelle prime ore del pomeriggio ho l’appuntamento che segnerà la riga tra un prima e un dopo. Quella massa grigiastra che si scorgeva nell’ecografia e nelle tac è un tumore, dubbi non ce ne sono. Questa è la sentenza senza appello che sento pronunciare senza essere preparato. Ma non è finita qui. Sembra che l’organo interessato sia il pancreas e questa è la notizia ancora peggiore, perché le prospettive non promettono nulla di buono e così, pur con il beneficio di dover fare ancora diversi esami di approfondimento, mi avvisano che se così fosse le prospettive di vita sono compromesse, si parla con buona probabilità di mesi e non di anni.

È questa la notizia che nessuno si aspetta di ricevere mai, che si fa fatica persino a comprendere sulle prime. Ricordo solo che ad un certo punto ho sentito un fischio fortissimo alle orecchie e non ricordo più le parole successive del medico. Il tempo in quei momenti si ferma, il fischio copre in realtà un gelido silenzio e ti senti solo, terribilmente solo.

Ricordo di avere salutato con in mano una serie di impegnative per fare nuovi esami, tra cui, ovviamente, istologico, citologico e tutto il repertorio inerente.

Esco dall’edificio dell’ospedale e mi siedo su una panchina frastornato. Ero solo, ma per la prima volta mi SENTIVO SOLO. Il pensiero subito va a mia figlia, 13 anni allora. Non la vedrò diventare grande? Non potrò accompagnarla nelle tappe della sua vita? E poi, sento di avere ancora tante cosa da fare, il mio lavoro che amo così tanto, i miei coachee hanno bisogno di me, i miei collaboratori, la mia famiglia. Possibile che il film finisca così?! Non ero mai entrato prima in ospedale e alla tenera età di 49 anni ci stavo entrando in pompa magna, con uno dei compagni di sventura peggiori che si possa trovare sul proprio cammino. Ma tant’è.

Passano i minuti, non so quanti, e lo shock comincia a lasciare spazio al ragionamento, come l’acqua del mare in tempesta si ritira un po’ alla volta dalla spiaggia e lascia riemergere le conchiglie come pensieri.

Dobbiamo fare ancora esami, vanno fatte altre verifiche, la realtà è che ancora non si sa con quale nemico dovremo combattere. Non è la fine, questo è solo l’inizio. 

Resto lì non so quanto su quella panchina dei giardini dell’ospedale. In realtà non ero in nessun posto specifico, ero completamente immerso nei miei pensieri, che cercavo di mettere in ordine. 

Pian piano mi sono affiorati i ricordi dei miei viaggi in giro per il mondo a seguire i migliori per imparare il coaching, dei miei viaggi in oriente per conoscere la filosofia dei grandi saggi; un po’ alla volta riaffioravano le parole dei grandi uomini che avevo incontrato nelle pagine dei libri che a centinaia avevano accompagnato la mia vita, insegnandomi qualcosa di più di questo viaggio fatto di saliscendi e di curve, di giornate splendide e di temporali improvvisi. Le migliaia di ore di coaching, le tante vite dei miei coachee condivise con passione, i corsi di formazione, le migliaia di di persone incontrate. Tutto questo come può essermi utile ora? Sono un coach, non devo dimenticarlo, anche e soprattutto in questo momento buio.

SONO UN COACH: NON DEVO DIMENTICARLO

Attraverso la respirazione addominale riprendo un po’ alla volta la calma, la lucidità e la serenità dei pensieri. Cosa mi insegna il coaching, mi sono chiesto? Che al momento non si sa ancora; sono congetture, previsioni, ma la verità è che non abbiamo nero su bianco ancora la sentenza definitiva, per cui sono solo pensieri. Trattiamoli come tali, dunque.

Riprendo la moto con cui ero venuto in ospedale all’appuntamento e mi metto il casco: il mondo sembra ancora più lontano così, mi sento ancora più isolato. Non voglio però tornare a casa subito, non voglio farmi vedere così. Ho bisogno di stare con me, ho imparato a farlo benissimo negli anni. Mi sono allenato tanto per diventare il miglior alleato di me stesso, per sapermi dare una mano nei momenti difficili. So dialogare con i miei pensieri, so gestire le mie emozioni, anche quando sono esplosive come oggi. Ho solo bisogno di lasciar andare tutto per un po’. Quindi che si fa? La cosa migliore è macinare strada. La moto è il perfetto alleato in questo momento; prendo e parto, senza meta. La meta è lasciar andare i pensieri insieme ai chilometri, è muovermi, far scorrere e scorrere con il tempo. Ho bisogno di recuperare equilibrio e mi tornano in mente i grandi maestri orientali: impara a lasciar andare, non ti aggrappare, non ti irrigidire, accetta e lascia scorrere; resta centrato dentro di te, lascia che i pensieri vadano e vengano e trattali come pensieri, tali sono. Tu sei di più: come insegna Osho, tu sei la tua casa e i tuoi pensieri sono ospiti che vanno e vengono

Quanto alle emozioni, ricorda cosa ti hanno insegnato i saggi: le emozioni sono vibrazioni che devi imparare a vivere, ad accettare e far risuonare in te. Come la cassa armonica di un violino fa risuonare le onde sonore generate dalle corde, così tu lascia che il tuo corpo faccia risuonare le vibrazioni emotive generate dai pensieri. 

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PENSIERI ED EMOZIONI

Già, i pensieri: tutto parte da lì. Il coaching e la PNL me lo hanno insegnato bene: noi siamo costruttori di realtà e la realtà che ricostruiamo con i pensieri determina le emozioni che vivremo, quindi le azioni che compiremo e i risultati che avremo.

Intanto il tempo è passato e tanti chilometri sono trascorsi, dal momento che il sole è basso e il tramonto è alle porte. La spia rossa del serbatoio della moto mi avvisa inoltre che di strada ne è stata fatta e che è il momento di fare il pieno per continuare. Già, continuare, di questo si tratta. 

Tutto torna ora in mio soccorso: studi, mentalità, approccio alla vita, esperienze. La mentalità da coach mi serve, mi serve tutta in questa ora importante. L’equilibrio è recuperato e un certo grado di serenità è tornato: è solo l’inizio, per ora sono ipotesi e congetture, quindi viviamo il presente dove l’ansia non esiste e lasciamo che i pensieri se arrivano se ne vadano da soli senza farmi agganciare, senza farmi portare in quelle distorsioni temporali in cui siamo soliti trascorrere buona parte della nostra vita: il futuro e il passato, matrix, in sostanza, nulla di vero, solo ricostruito dalla nostra mente. Il presente, hic et nunc, torna ad essere il mio habitat, come è sempre stato negli ultimi 25 anni; e nel presente tutto si calma, il tempo prende il suo spazio e torna l’armonia e si riprende a scorrere con la vita e con il movimento dell’universo.

Ho deciso: questa notizia non voglio che per il momento modifichi la mia vita, se non per l’impegno che dovrò mettere a fare gli accertamenti che i medici mi proporranno. Voglio prendermi cura di me, non preoccuparmi, ma occuparmi di ciò che è reale qui ora.

Dopo aver condiviso con famiglia, amici e i collaboratori la notizia (la parte più difficile senza dubbio, perché ho dovuto occuparmi delle loro pre-occupazioni) la mia vita deve riprendere come sempre: coaching, corsi di formazione, consulenza, viaggi, sport, passioni. 

E così sarà fino al 7 gennaio 2019, giorno in cui la diagnosi definitiva arriva. Non è tumore al pancreas, è un linfoma follicolare. Chiedo lumi, ignorante della materia, ma capisco subito che è decisamente meglio questa seconda diagnosi della prima. Si può curare. Certo, subito mi avvisano che ha la peculiarità della recidiva, ma di nuovo siamo nelle preoccupazioni e nei pensieri e non nei fatti. Tocco con mano quello che ho sempre saputo e che insegno: è tutto relativo nella vita e la realtà non esiste, è solo una nostra ricostruzione soggettiva. Sentire oggi la parola linfoma è un sollievo rispetto a tumore al pancreas, così come cominciare a fantasticare su quanto ci vorrà per debellare questo male e se mai tornerà sono solo pensieri ansiogeni, nuovamente. Quindi decido di non ascoltare nessuno tranne il mio oncologo, di non cercare spiegazioni su Internet, di non dedicare tempo a parlarne con alcunché. Facciamo quello che c’è da fare e basta. 

L’AZIONE

Dopo vari esami, intervento in laparoscopia e accertamenti di routine, inizia il momento in cui si agisce: chemio. Intanto la mia vita deve continuare come sempre: sessioni di coaching con i miei coachee, corsi di formazione (all’epoca erano tutte in presenza in aula), consulenza marketing e organizzativa con aziende e studi professionali. Non sarò certo io a decidere preventivamente di cambiare la mia vita, se così dev’essere saranno i fatti un po’ alla volta ad indicarmi la strada, ma io non mi fascio la testa prima del tempo. 

L’istituto che scelgo come mio partner in questo percorso è l’Istituto dei Tumori di Milano, noto per il suo prestigio, comodo perché vicino casa e quello dove l’intuito mi spinge. In questi casi, devi subito sentirti a tuo agio, accolto e protetto; è importante che le sensazioni siano positive e che non ci si senta fuori luogo, per cui penso che debba essere il diretto interessato ad esprimere l’ultimo parere su a chi affidare la propria vita.

Mi vengono fatte tutte le raccomandazioni del caso, mi vengono date tutte le informazioni, scritte a colloquio e anche sottoscritte per essere sicuri che abbia capito bene. Ho capito, tranquilli. Solo che sono e resto sereno, vivo momento dopo momento il presente come sempre, non mi faccio così prendere dall’ansia dei pensieri e concentro (focusing) le mie energie là dove servono, invece di disperderle in ansie inutili. Le persone accanto a me quasi non si accorgono di ciò che sta accadendo: preferisco andare da solo a fare gli esami e i colloqui, così posso gestire bene solo le mie emozioni e non anche quelle dei miei accompagnatori. Certo, nei momenti cruciali dove c’è bisogno di calore umano, di una rete di affetti, c’erano tutti: mia figlia, la mia compagna, la mia ex moglie i miei amici di sempre, i miei collaboratori. Insomma, tutti quelli che contano. Ed erano tutti compiaciuti di vedere che ciò che avevano sentito mille volte nei miei corsi, nel mio podcast (“Buongiorno Felicità”, cercate il gruppo su Facebook) nei miei coaching lo stavo applicando alla sfida più seria che mi si stava presentando davanti e che era tutto vero, palpabile. Ero tranquillo, fiducioso, concentrato sul presente, forte. Paura? Certo, quella non può mai mancare in situazioni di questo tipo, vorrebbe dire essere incoscienti o pazzi a non averne, stai solo rischiando la vita, in fondo!!!

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LA CHEMIOTERAPIA

Ed eccoci al primo giorno del ciclo semestrale di chemioterapia. Ero stato avvisato che sarebbero potuti cadere i capelli, che avrei potuto soffrire di nausea, che avrei potuto avere la febbre e che avrei dovuto portare la mascherina e non stare più a contatto con le persone o, quantomeno, farlo con cautela, perché il mio sistema immunitario da lì a breve sarebbe stato bombardato e avrebbe ceduto man mano sotto i colpi del veleno che avrebbe sconfitto la malattia, provocato però morti e feriti anche tra gli alleati.

Sapevo tutto e avevo capito tutto, per questo avevo ripreso a fare meditazione ogni giorno, per centrarmi, per raccogliere le forse, per essere più forte. La mente è un potente strumento di guarigione o di malattia, sta a noi saperla indirizzare e io lo sapevo fare, lo volevo fare.


I fatti sono solo fatti, siamo noi che li interpretiamo, che gli diamo senso e quel senso prende il nome di realtà, la nostra realtà, con cui ci confronteremo, che produrrà emozioni, stati d’animo, comportamenti e risultati. Conosco bene il processo di costruzione della realtà, si trattava quindi solo di applicarlo questa volta alla sfida più seria della mia vita. Dalla teoria dei corsi alla pratica, tutto qui.

Quel primo giorno di chemioterapia, prima di entrare all’Istituto dei Tumori a Milano ricordo di essermi fermato all’ingresso e di aver guardato la struttura: non si può dire certo che sia piacevole da vedere, né che sia bello entrarci, eppure avevo in mente una sola domanda: come posso rendere questo luogo accogliente per me, un alleato. Ho cominciato così a pensare che sono fortunato ad essere qui, infatti avere un Istituto specializzato di questo livello che si prende cura di me è una fortuna, avrebbe potuto non esserci affatto; sono fortunato che è a Milano a poche centinaia di metri da casa, c’è che viaggia migliaia di chilometri per venire qui; sono fortunato di vivere in un Paese dove, a dispetto di ciò che si dice, le cure sono un benefit per ogni cittadino e quindi posso essere curato da sistema sanitario nazionale, non in tutti i Paesi è così; sono fortunato che ho una dottoressa premurosa e accogliente che si prende cura di me e che gli infermieri che ho conosciuto finora sono persone splendide. Poteva andare solo peggio e saper guardare il bicchiere mezzo pieno è una grande risorsa; il pensiero positivo è questo: non pensare in rosa, ma focalizzarsi su ciò che abbiamo ed essere grati e trarre forza da lì.

È il momento di entrare. Mentre percorro il corridoio penso tra me e me che ho sempre avuto paura degli aghi e delle siringhe e le vene mi si chiudono al solo pensiero; mi viene da sorridere, perché il caso vuole che oggi si parta con le flebo, altro che punture, la sfida è aperta.

Mi viene dato il mio letto dove trascorrerò le mie 8 ore di flebo in una stanza a due posti. Arriva l’infermiera, dolce, sorridente, con la battuta pronta a stemperare la tensione e mi pone la prima decisione da prendere: quale braccio? Il destro o il sinistro? Abituato come coach a fare domande e ascoltare, più che dare risposte, chiedo a mia volta: a lei quale viene più comodo? Il destro mi risponde. E allora vada per il destro. Tanto domani, secondo giorno di chemio, passeremo al sinistro, mi ribatte con un filo di ironia. Non c’è scampo, insomma.

Torno a casa sentendomi novant’anni addosso. Certo non è uno scherzo quel veleno. Il corpo si ribella, ti senti strano. Che fare quindi? Beh, durante la chemio ascoltavo musica con gli auricolari, continuavo a lavorare, a scrivere articoli, a leggere. La strategia è tenere la testa occupata su qualcosa di pratico, di produttivo, che appassioni, che incuriosisca e che faccia sentire vivi.  Il vero rischio è sentirsi malati. 

L’APPROCCIO ALLA VITA

Siamo tutti malati terminali e nessuno uscirà vivo di qui. Questa idea mi ha sempre accompagnato nei mesi di chemioterapia. La differenza tra un malato oncologico e chi non lo è non è la malattia, ma l’approccio alla vita. Chi ha un tumore è portato a pensare alla morte e alla sofferenza, cosa che chi non ha un tumore non è portato a fare. In realtà la morte è sempre lì presente (sulla spalla destra, come insegnano i samurai) ad accompagnare la vita per tutti, solo che non ci pensiamo. Nessuno uscirà vivo di qui, ricordiamocelo sempre. Forse tutti dovrebbero ogni tanto ricordarselo, tumore o non tumore. Perché questo ci permetterebbe di fare scelte più profonde e di dare il giusto peso alle cose. Invece di star male per le minuzie, di rovinarci la vita con il lavoro o di intossicarci la vita per stupidaggini quotidiane, potremmo in tal modo interpretare in modo più equilibrato e gioioso questa grande avventura, che avrà fine per tutti noi, in un modo o nell’altro.

I mesi passavano e la chemio andava avanti. Continuavo a lavorare (nessuno si era accorto che stavo facendo la chemio) continuavo ad andare in aula con un minimo di cautela, ma pieno di passione ed energia come sempre. Tutto continuava come sempre: i capelli non cadevano, niente febbre, niente nausea. Certo, i giorni della chemio me li prendevo tutti per me, perché erano pesanti, ma già dal giorno dopo si tornava in pista. La strategia non era preoccuparsi, prevedere, bensì occuparsi, vivere nel presente e adeguarsi man mano agli eventi con flessibilità, senza giudizi, polemiche, vittimismo. Tanto non sarebbe cambiato nulla facendo così, anzi: quindi a chi sarebbe giovato? E poi mi figlia volevo che vedesse che ogni difficoltà nella vita si può affrontare, basta avere la mentalità giusta, un metodo e la volontà di farlo. Il mio doveva essere anche un esempio per lei.

LA GUARIGIONE

A settembre 2019 era oramai concluso il primo ciclo semestrale di chemioterapia: era il momento di verificarne l’efficacia; l’esame più invasivo e doloroso era decisamente il prelievo del midollo. Quello mi terrorizzava, perché le due volte precedenti avevo provato un dolore pazzesco: dovevo trovare una soluzione e la mente anche qui doveva essere la mia alleata. Giorni prima cominciai a condurre la meditazione per portare il pensiero in un altro punto del mio corpo, in modo che il giorno del prelievo del midollo sarei stato allenato a farlo, riducendo così la sensazione di dolore fortissimo. Così è stato. Sdraiato sul lettino a pancia in giù arriva il momento della verità: il prelievo avviene dalle ossa del bacino, che vengono forate per prelevare il midollo e un pezzetto di osso da analizzare. La testa fa tutto, ve lo posso assicurare. La mia mente era focalizzata sul mio respiro e il dolore benché ci fosse era diventato ovattato, lontano, quindi sopportabile. Anche la durata mi era apparsa minore del solito. Anche questa sfida era vinta ed ero stranamente felice, invece che dolorante. 

La vita è tutta nella nostra testa, è proprio così.

Gli esiti arrivarono dopo qualche settimana: il tumore non c’era più. Sconfitto. Certo, da un tumore non si esce mai più, nel senso che lo spettro della recidiva è sempre lì e per questo ci sono visite e controlli periodici; preoccuparsi non avrebbe alcun senso, se non rovinare la qualità della vita. 

Il miglior modo per battere la morte non è allungare la vita, ma aumentarne la qualità

Ho voluto condividere la mia storia con tutti voi nella speranza che ciascuno possa trarre qualcosa di utile per la propria vita, tumore o non tumore. Le sfide che abbiamo davanti sono molte e le malattie sono solo una parte. È la nostra mentalità a fare la differenza, non ciò che ci accade, ma come lo affrontiamo. 

Pensate dunque a come costruire una vita di qualità, invece di preoccuparvi che non lo sia, e per citare Osho “Non siate guerrieri della vita, siate amanti”.

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Mario Alberto Catarozzo - Founder Partner & CEO MYPlace Communications

Mario Alberto Catarozzo

Formatore, Business Coach professionista e Consulente, è specializzato nell’affiancare professionisti, manager e imprenditori nei progetti di sviluppo e riorganizzazione.
È fondatore e CEO di MYPlace Communications, società dedicata al marketing e comunicazione nel business. Nella sua carriera professionale è stato dapprima professionista, poi manager e infine imprenditore. Per questa ragione conosce molto bene le dinamiche aziendali e del mondo del business. Si è formato presso le migliori scuole di coaching internazionali conseguendo le maggiori qualifiche del settore.
Collabora con Enti, Istituzioni e Associazioni professionali e di categoria e lavora con aziende italiane e internazionali di ogni dimensione, dalle pmi alle multinazionali.
È autore di numerosi volumi dedicati agli strumenti manageriali e di crescita personale e professionale. È direttore della collana Studi Professionali di Alpha Test Editore e autore de “Il Futuro delle professioni in Italia” edito da Teleconsul editore.
Professional Certified Coach (PCC), presso la International Coach Federation (ICF).
Per sapere di più sulle attività di formazione, coaching, consulenza e marketing visita i siti:

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Per info e contatti: coach@mariocatarozzo.it.