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Caro me ti scrivo. L’autonarrazione come momento di consapevolezza

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Diceva Steve Jobs nella sua famosa intervista nel 1995 alla Stanford University che solo dopo uniremo ciò che abbiamo fatto come i puntini su di un foglio e solo così prenderà così forma la strada intrapresa. Prima possiamo avere un’idea di massima, una direzione e soprattutto la fiducia che se il vento che ci spinge nelle nostre giornate è quello della passione verso ciò in cui crediamo, beh allora questi puntini disegneranno una rotta decisamente piacevole.

Pochi di noi, tuttavia, hanno mantenuto l’abitudine giovanile di scrivere. Già, da bambini tutti abbiamo avuto un diario dove scrivevamo qualcosa della nostra giornata, dei nostri desideri e dove ogni tanto ospitavamo pezzetti di vita altrui, amici, fidanzate, ricordi. Eravamo giovani, quindi giustamente si guardava al futuro, lo si immaginava, ci si prendeva le misure e l’orizzonte sembrava davvero lontano, soprattutto lontano dai nostri pensieri. Tutta la vita è qui ora, pensavamo. Davanti a noi mamma e papà, insomma i fari come nello Stretto di Gibilterra a segnare le acque chete dall’oceano aperto. Poi il tempo passa e quello stretto, ora alle spalle, lo vediamo allontanarsi sempre più mentre navighiamo in quell’oceano immenso. Per strada amici, fidanzate, ricordi, studi, sogni restano tra le onde.

Ma ogni buon capitano tiene un diario di bordo, sempre. Serve a capire cosa è accaduto, a tenere traccia e memoria. Già perché troppo spesso la memoria che abbiamo in testa ci falsa le cose, è una ricostruzione filtrata, dopo un po’ appannata e sempre uguale. Abbiamo così deciso che quel fatto è andato così, gli abbiamo tolto molti dettagli e per facilitarne la ricostruzione postuma lo abbiamo riorganizzato nella nostra mente in modo che sia accettabile. Chissà se nella realtà storica le cose sono andate poi davvero così.

Scrivere non ha solo funzione di mantenere traccia, ma anche di sviluppare la consapevolezza di chi siamo oggi, di chi siamo diventati, di dove siamo e di dove stiamo andando passo dopo passo con le nostre scelte e i nostri comportamenti. Ha una funzione liberatoria, catartica, dice Duccio Demetrio “con la scritta è possibile riparare il passato, inventare l’avvenire”. Ci sono molti tipi di scrittura, di quella organizzativa della giornata abbiamo parlato in un precedente post, qui parliamo della scrittura narrativa, dell’Io narrante.

Perché l’esperienza di scrivere la propria storia, la propria biografia può essere così importante? Perché per poterlo fare il primo passo è un viaggio silenzioso nei nostri pensieri. Un foglio bianco, una penna e il resto  è il rumore dei ricordi. Ricordi che vanno rivissuti, ordinati e coordinati. E’ il momento in cui rivediamo il nostro film più caro scorrere davanti a noi. E’ il momento in cui cerchiamo tutto insieme di dargli un senso. E’ il momento in cui ci viene richiesto il coraggio di sostenere cose fatte, alcune bene, altre meno. E’ il momento in cui ci confrontiamo circolarmente con noi, dove tutto scorre come su una giostra vista mille volte, ma mai tutta insieme. E’ il momento in cui facciamo ordine sulle cose fatte da protagonisti e su quelle vissute da compagine. Che strana sensazione, troviamo di continuo bivi dove abbiamo scelto se andare a destra o a sinistra. Troviamo ad ogni passo scelte e rinunce, atti di coraggio e ritirate con la coda tra le gambe. Ssshhhtttt, nessuno sapeva niente! Questo è il bello.

A cosa può servire tutto questo? Perché prendersi una giornata di pausa e andarsene al mare, sedersi ai tavolini di un bar sulla spiaggia fuori stagione e lì dare via libera al racconto dei nostri ricordi? Perché la narrazione autobiografica può essere un momento importantissimo per fare il punto della situazione con noi stessi. Per prendere quella famosa puntina rossa e metterla sul mappamondo della nostra vita esattamente dove pensiamo di essere oggi. E’ da lì, da questo atto di coraggio, di dolce coraggio, che possiamo far pace con molti bivi che non ci siamo perdonati. La strada era sbagliata, come potevamo saperlo?! Un matrimonio, un’amicizia finita, un investimento sbagliato. E dopo aver fatto pace nel presente dei ricordi, possiamo riprendere con un rinnovato slancio il nostro percorso, professionale, umano e sociale.

Chi non si ferma mai, non si racconta mai, non ha la piacevole sensazione di far pace con se stesso, come può continuare a tirare questo carro pesante, sempre più pesante, che ogni sera posa per il riposo e riprende tale e quale al mattino seguente. L’autoconsapevolezza, la coscienza di sé è la più grande forza per qualunque nuova sfida, il punto saldo da cui ripartire!

Mario Alberto Catarozzo

Formatore, Business Coach professionista e Consulente, è specializzato nell’affiancare professionisti, manager e imprenditori nei progetti di sviluppo e riorganizzazione.
È fondatore e CEO di MYPlace Communications, società dedicata al marketing e comunicazione nel business. Nella sua carriera professionale è stato dapprima professionista, poi manager e infine imprenditore. Per questa ragione conosce molto bene le dinamiche aziendali e del mondo del business. Si è formato presso le migliori scuole di coaching internazionali conseguendo le maggiori qualifiche del settore.
Collabora con Enti, Istituzioni e Associazioni professionali e di categoria e lavora con aziende italiane e internazionali di ogni dimensione, dalle pmi alle multinazionali.
È autore di numerosi volumi dedicati agli strumenti manageriali e di crescita personale e professionale. È direttore della collana Studi Professionali di Alpha Test Editore e autore de “Il Futuro delle professioni in Italia” edito da Teleconsul editore.
Professional Certified Coach (PCC), presso la International Coach Federation (ICF).
Per sapere di più sulle attività di formazione, coaching, consulenza e marketing visita i siti:

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Per info e contatti: coach@mariocatarozzo.it.