Nel mondo aziendale esiste da sempre la cosiddetta customer satisfaction. Negli ultimi anni si è estesa anche alla pubblica amministrazione e a molti enti. E’ in sostanza una facile procedura di indagine utile per capire se i propri clienti sono soddisfatti del servizio fornito e poter così introdurre modifiche e novità nello stesso. Si procede attraverso una breve e facile indagine condotta con questionari, test, interviste, redatti tenendo conto di alcuni parametri che permetteranno poi in fase di analisi dei feedback di cogliere le aree e le attività da migliorare. Negli studi professionali questo strumento non viene ancora utilizzato, salvo forse qualche sporadico caso. Può essere utile per un professionista, per uno studio, conoscere le preferenze dei propri clienti? Può essere utile sapere dai propri clienti cosa vorrebbero di diverso in termini di prestazioni, tempi, modalità, qualità? Potrebbe aiutare lo studio e il professionista a rinnovare la propria attività e la propria offerta di consulenza professionale? Beh, cosa ne dite, a me sembra proprio di sì!
Fuori da vecchie logiche da professionista 1.0, oggi lo studio professionale, che sia piccolo, medio o grande, si confronta con un mercato diverso e in continua evoluzione, giorno per giorno. Il professionista è sempre di più un imprenditore della propria attività, che sia organizzata in modo associato, societario o individuale, poco cambia. Perché? Perché sono i clienti oggi diversi. Quindi se vogliamo essere “adatti” per i nostri clienti, se vogliamo essere in linea con le loro esigenze e al passo con i ritmi e le esigenze del mercato in cui ci muoviamo, necessariamente dobbiamo fare i conti con questo. Le traversate “in solitario” non pagano più, rischiano alla fine di farci trovare soli e basta. Abbiamo visto in altri articoli come oggi il cliente sia molto più attivo, si informa, partecipa e cambia il professionista se non lo ritiene “giusto” per sè. Questo non vuol dire che cambia solo se il professionista non è percepito dal cliente come bravo. Ma anche se non risponde con il ritmo del cliente (soprattutto se azienda), se non instaura un rapporto empatico con questo, se non impara ad ascoltare il cliente, prima di tutto. Se non sa personalizzare, in sostanza, davvero, il rapporto con quest’ultimo. Non basta più oggi essere bravi professionisti, essere preparati, avere esperienza. Bisogna aggiungere a tutto questo capacità comunicative e gestionali della relazione professionista-studio professionale-cliente.
Quale miglior strumento, dunque, di una indagine di customer satisfaction può darci una fotografia del livello di soddisfazione dei nostri clienti, delle novità da introdurre nell’offerta dello studio, dell’opportunità di introdurre variazioni di organico? Potrebbe essere lo stesso cliente a suggerirci, per esempio, di non mandare più la newsletter, ma di comunicare con lui attraverso Twitter. Oppure potrebbe essere il cliente a informarci che gli sarebbe comodo ricevere su mobile gli articoli del blog dello studio, magari attraverso un’App di studio da scaricare. E potremmo continuare.
Insomma, la professione 2.0 ci dice che è arrivato il momento di intervistare i nostri clienti, di chiedergli feedback di su noi e di ascoltarli, ascoltarli davvero. Sarà oro colato per noi, tempo ben investito su cui condurre poi riflessioni e piani di intervento strategici accurati. Solo così potremo dire che stiamo fornendo servizi professionali in linea con i tempi e con le esigenze dei nostri clienti. E allora sì che il buon vecchio passaparola ricomincerà in analogico e in digitale a fare il suo lavoro. Non male per il cliente sentirsi importante, che dite?!