Continuiamo il nostro viaggio nel mondo del coaching per fare chiarezza questa volta sul come si svolge un percorso di coaching. Molti mi dicono che hanno partecipato ad un evento di coaching dove il guru della situazione saltava sul palco, sbraitava ripetendo frasi lette chissà dove e la musica a palla faceva da colonna sonora. E questo lo chiamiamo coaching? No di certo. Al limite sarà stato uno spettacolo, un evento motivazionale o, nella migliore delle ipotesi, un evento formativo. Ma certamente non era coaching.

FORMARE SUL COACHING
Cominciamo quindi a fare chiarezza distinguendo gli eventi motivazionali, dove si balla e si canta, dal coaching. Distinguiamo poi gli eventi dove si parla di coaching; quella potrà essere formazione sul coaching, ma non coaching. Per esempio, la mia società MYPLACE COMMUNICATIONS ha una propria scuola di coaching, dove formiamo le persone sul coaching. Il primo livello – SELF COMPETENCIES – è dedicato a chi vuole conoscere il coaching, apprenderne le basi e le tecniche per poterle portare nella propria vita e utilizzare nel lavoro, come nella vita privata. Chi poi vuole approfondire con le competenze di un coach professionista parteciperà al secondo livello – PROFESSIONAL COACHING – dove imparerà come si fa il coach, la deontologia del coach e come si imposta una relazione di coaching professionale. In entrambi i casi stiamo parlando di formazione sul coaching, non di coaching. Trasmettere la teoria sul coaching, i principi e le tecniche, non vuol dire saper fare il coach.
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L’INTERVENTO DI COACHING
Passiamo ora al coaching vero e proprio. Nella puntata precedente lo abbiamo già definito come la relazione di partnership tra un coach e un coachee finalizzata alla realizzazione di obiettivi o la risoluzione di problemi. Al coach si rivolge a chi ha obiettivi da raggiungere, chi guarda avanti e ha bisogno di un partner per definire meglio la strada, fare chiarezza, aumentare la propria consapevolezza e sviluppare o tirar fuori le proprie capacità.
A questo punto la domanda è lecita: quanto dura un percorso di coaching? La risposta non può che essere “dipende”. Esistono situazioni dove addirittura basta una sessione di coaching, magari di più ore, per delineare la strada e dare lo sprint giusto al coachee perché possa procedere poi in autonomia. Di solito il coaching consiste in un percorso, fatto di più incontri (sessioni) a cadenza quindicinale, a volte anche settimanale. Io, per esempio, applico un modello di coaching dove facciamo sessioni di 1 h di coaching alla volta, a distanza di 15 giorni l’una dall’altra per complessivi tre mesi. Il trimestre, infatti, è l’arco temporale ideale per vedere i risultati e per acquisire nuove abitudini e competenze, superando quelle disfunzionali precedenti. Al termine del trimestre si valutano insieme i risultati e si decide se continuare, oppure no. A volte vi è la necessità di un nuovo trimestre, altre volte bastano dei follow up periodici per fare il punto e misurare i risultati.
LE SESSIONI
Come abbiamo visto la sessione di coaching è l’incontro tra coach e coachee. Come avviene questa sessione, molti potrebbero chiedere? Le modalità possono essere sostanzialmente due: in presenza, presso lo studio del coach o presso la sede del coachee e in videocall su piattaforme come Zoom, Teams e simili. La mia esperienza di oltre 25 anni mi porta a dire che funzionano benissimo entrambe le modalità. Prima della pandemia le mie sessioni di coaching erano per il 90% in presenza, oggi dopo la pandemia la percentuale si è completamente ribaltata. Il coaching in videocall è efficacissima, devo dire, perché anche se si perde un pochino nella mancanza di presenza fisica nello stesso luogo, si guadagna moltissimo in comodità, in risparmio di tempo e di soldi per gli spostamenti e inoltre – cosa non da poco – rende accessibile il coaching anche a chi vive in posti lontani dalle grandi città, dove il coach normalmente opera. Nel mio caso, io ho sede a Milano, per cui prima i miei coachee erano della zona geografica, oppure dovevano affrontare impegnative trasferte; oggi la situazione è molto più fluida e i miei coachee sono di tutta Italia, perché le piattaforme di videochiamata annullano tutte le distanze. Non solo: prima per alcune categorie di coachee (amministratori delegati, professionisti, manager) non era facile trovare lo spazio per poter ritagliare l’ora della sessione di coaching se ad essa dovevano essere aggiunti i tempi di spostamento; oggi è cambiato tutto e chiunque riesce a ritagliarsi in un momento della giornata (dalla pausa pranzo, al mattino presto, alla sera fine giornata) per dedicarsi un po’ a se stessi e fare coaching.
LA RELAZIONE DI COACHING
Come abbiamo visto nella precedente puntata, la relazione di coaching è una relazione di partnership fondata sulla fiducia e sull’empatia. Esistono due situazioni che possono dare origine al coaching: la prima si ha quando la scelta di fare coaching viene effettuata dal diretto interessato. In questo caso la persona sente la necessità, si informa e sceglie il proprio coach.
La seconda situazione si ha quando è l’azienda a decidere che un proprio componente deve fare coaching. Di solito è il responsabile risorse umane a decidere, oppure il titolare. Saranno questi che contatteranno il coach e lo sceglieranno. Il coachee, quindi, spesso si vede abbinare un coach che non si è scelto direttamente. Nella mia lunga esperienza con aziende e con studi professionali, molto spesso è capitato che fosse il responsabile risorse umane a contattarmi, oppure il titolare, per chiedermi la disponibilità a fare coaching con un manager, l’amministratore delegato, un collaboratore. Di solito in queste situazioni la miglior scelta è di poter prima avere contatti con il destinatario, per conoscerlo e poi decidere se fare oppure no coaching insieme. La relazione empatica resta centrale per il buon risultato del coaching.
FOLLOW UP
Cosa accade al termine di un percorso di coaching? Una volta raggiunti i risultati desiderati, il coaching volge al termine con la consapevolezza che il coachee è cambiato, ha acquisito nuove competenze, è più forte e più consapevole di prima. Ora che fare? Bisogna continuare ad allenarsi, a mettere in pratica, a muoversi in quel percorso (io lo chiamo percorso di samba) dove ogni tanto ricadremo nell’errore, altre volte ci riusciremo in parte e altre otterremo il risultato sperato. Il coaching non è un risultato, ma una mentalità, un modo di essere, di affrontare le cose.
Buona regola è vedersi a cadenze periodiche per dei follow up, per tenere il timone bello stretto tra le mani e per rinverdire qualche piccola regola che con il tempo potrebbe perdersi negli impegni quotidiani e nelle abitudini. Nella mia vita ho seguito centinaia e centinaia di persone di ogni tipo: manager, imprenditori, professionisti e tutti hanno mantenuto nel tempo una relazione, a volte anche di semplice messaggio WhatsApp, altre volte con sessioni periodiche di follow up. Una cosa è certa: il coaching ha rappresentato un’esperienza che ha cambiato la loro vita, in meglio.
Nella terza puntata vedremo qual è la storia del coaching, i personaggi e i punti cruciali che ne hanno fatto una disciplina oggi utilizzatissima in tutti gli ambiti: sportivo, business, life, job.
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