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Avvocati: la gestione della comunicazione nell’udienza penale

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Per un avvocato penalista saper gestire la comunicazione è fondamentale. Non parliamo solo di conoscere la retorica – l’arte di parlare e argomentare – bensì di conoscere i canali della comunicazione, le regole del rapport con giudici, clienti e testimoni. Non basta dunque saper parlare, saper argomentare, utilizzare le parole, i termini giusti e costruire la frase in modo corretto e accattivante. Certo, questa è la base di partenza. Se dovessimo usare il condizionale al posto del congiuntivo, oppure essere eccessivamente prolissi e poco chiari, certamente l’efficacia della nostra attività in udienza verrebbe meno già per questo.

Qui vogliamo porre l’accento su altre competenze e abilità che molti avvocati penalisti hanno “istintivamente“, cioè fa parte di doti innate ma poco consapevoli e quindi sempre affidate al lampo del momento, mentre altri non le hanno affatto. Parliamo della capacità di utilizzare in modo efficace e strategico non solo la linguistica – cioè le parole con cui costruiamo la nostra arringa difensiva o conduciamo la cross examination del testimone – ma anche il linguaggio del corpo (il non verbale) e il paraverbale, cioè il come diciamo le cose: tono, volume, frequenza, ritmo, pause, silenzio. Un conto infatti è “andare a braccio”, seguire l’istinto, appunto; un altro è invece sapere di avere una cassetta degli attrezzi ricca di strumenti, ciascuno con un proprio nome e una propria funzione, in modo da saper far ricorso ogni volta velocemente all’uno o all’altro in funzione dello scopo che ci proponiamo. Come dire: se devo piantare un chiodo nel muro, posso farlo anche col tacco della scarpa, ma non è lo strumento migliore. Se so di avere nella mia cassetta degli attrezzi il martello e so che il martello è lo strumento più adatto allo scopo, allora velocemente aprirò la mia cassetta, tirerò fuori il martello e lo utilizzerò. Ciò comporta, inoltre, una maggior chiarezza delle proprie abilità e competenze, una maggior sicurezza in se stessi e quindi maggior autostima e minor stress nell’affrontare le situazioni, perché so di avere con me gli attrezzi giusti per ogni circostanza.

Quindi, per tornare a noi, conoscere le regole della linguistica, per cui le parole sono àncore che richiamano emozioni in chi le ascolta (e in noi stessi), così come sapere che più utilizziamo una terminologia “vicina” al sistema rappresentazionale del nostro interlocutore (visivo, uditivo, cinestesico) e maggiori probabilità di costruire rapport abbiamo, è utile, molto. Allo stesso modo, dobbiamo essere consapevoli dell’uso delle avversative nella frase e del loro effetto: MA, PERO’, TUTTAVIA. Dobbiamo essere consapevoli dell’effetto “subconscio” della negazione NON per poterla utilizzare ad arte nel nostro discorso.

Passando poi al paraverbale, che ne dite sarà utile saper modulare il volume di voce in funzione del nostro interlocutore per farci ascoltare e avere la sua attenzione? Oppure, saper scandire il nostro discorso con un ritmo utile a colpire emotivamente l’interlocutore sottolineando con le pause giuste i punti focali del discorso? Infine, quanto importanza avrà sull’efficace del nostro discorso l’uso delle mani come elemento di sostegno a ciò che stiamo affermando? Stessa cosa per le movenze del corpo e le espressioni del nostro viso.

Tutto questo ovviamente ha come presupposto il possedere le abilità di “calibrare” il nostro interlocutore, di saper cogliere cioè in quel momento il suo stato d’animo, le sue caratteristiche e quindi sapere cosa è meglio fare, non fare, dire o non dire per farci comprendere e per creare relazione, empatia.

Proviamo a calarci in una situazione reale di udienza in cui l’avvocato parla al giudice, piuttosto che conduce il controesame del testimone, oppure in Corte di Assise parla alla guria popolare. Mi è capitato spesso di assistere a situazioni appena descritte e vedere il difensore fare il suo intervento non curante di chi ha di fronte, come la recita di un copione sempre uguale a se stesso anche se la scenografia è cambiata. Esito? giudice annoiato o indisposto dai modi; giuria distratta e poco partecipe della ricostruzione; testimoni sotto pressione che si chiudono a riccio. Ok, questo è il mio stile, risponderebbero in molti. Ma chiediamoci: qual è l’obiettivo di tutto ciò che sto facendo? Quale il risultato che voglio raggiungere? Ho utilizzato gli strumenti migliori? Ho fatto del mio meglio? Posso fare qualcosa di nuovo? Posso fare in futuro qualcosa di diverso?

Mario Alberto Catarozzo

Formatore, Business Coach professionista e Consulente, è specializzato nell’affiancare professionisti, manager e imprenditori nei progetti di sviluppo e riorganizzazione.
È fondatore e CEO di MYPlace Communications, società dedicata al marketing e comunicazione nel business. Nella sua carriera professionale è stato dapprima professionista, poi manager e infine imprenditore. Per questa ragione conosce molto bene le dinamiche aziendali e del mondo del business. Si è formato presso le migliori scuole di coaching internazionali conseguendo le maggiori qualifiche del settore.
Collabora con Enti, Istituzioni e Associazioni professionali e di categoria e lavora con aziende italiane e internazionali di ogni dimensione, dalle pmi alle multinazionali.
È autore di numerosi volumi dedicati agli strumenti manageriali e di crescita personale e professionale. È direttore della collana Studi Professionali di Alpha Test Editore e autore de “Il Futuro delle professioni in Italia” edito da Teleconsul editore.
Professional Certified Coach (PCC), presso la International Coach Federation (ICF).
Per sapere di più sulle attività di formazione, coaching, consulenza e marketing visita i siti:

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Per info e contatti: coach@mariocatarozzo.it.