Noi siamo ciò che pensiamo. Questo ci hanno tramandato i grandi filosofi del passato. Nella vita avremo ciò che saremo riusciti a pensare e a mettere in pratica. Certo, molti potrebbero obiettare, le sfighe ti capitano anche se non le hai pensate. Vero, una quota di ciò che accadrà è in mano al caso, ma un’altra quota è nelle nostre mani.
Detto ciò, è utile sapere che noi, il nostro cervello, si abitua a pensare in un certo modo e le cellule del nostro corpo si “nutrono” di sostanze chimiche di cui si compongono le emozioni. La conseguenza è che se impariamo a pensare in negativo, per esempio ci lamentiamo ogni giorno del nostro lavoro, ci comportiamo con vittimismo, affrontiamo con polemica la giornata, il nostro organismo si abituerà alle sostanze chimiche che circolano abbinate a tale emozioni e poi non ne potrà più fare a meno, ne avrà bisogno. Ecco che andremo in cerca di situazioni dove ricreare tali condizioni e le ricreeremo noi stessi: saremo conflittuali, scettici, ci inseriremo in discorsi negativi di altri sul futuro, sulla professione, sulle condizioni economiche, le creeremo noi stessi parlandone e cercando persone in linea con il nostro stato d’animo e modo di pensare.
Saremo insomma dipendenti da tali emozioni negative e, di conseguenza, agiremo in tal senso e le cercheremo in continuazione.
La cultura in cui siamo cresciuti e in cui viviamo, inoltre, non ci aiuta certo. La cultura dell’errore è stata la colonna sonora dei nostri anni scolastici, dove maestri, insegnanti e spesso anche i nostri genitori ci hanno abituato a evidenziare gli errori. Siamo diventati esperti mondiali dell’errore. Li becchiamo subito gli errori. Certo, è da una vita che ci alleniamo a focalizzarci sugli errori, su ciò che non va, su ciò che ci manca, che per forza siamo ora abituati anche nel lavoro a evidenziare con i collaboratori ciò che hanno sbagliato, a puntare su ciò che manca e avremmo potuto fare, piuttosto che su ciò che abbiamo fatto bene. Questa è una delle sfide che nel coaching, con i miei coachee, affrontiamo in ogni sessione: imparare a costruire gli obiettivi in positivo, invece che in negativo (voglio, invece che non voglio), a valorizzare i miglioramenti e i cambiamenti anche piccoli, ma nella direzione giusta, a godere e gratificarci dei piccoli e grandi successi, a restare focalizzati sull’obiettivo invece che perdersi tra le giustificazioni, a guardare avanti invece che indietro.
Chi è abituato a lamentarsi spesso o a essere polemico o ipercritico avrà bisogno ogni giorno di creare o cercarsi le situazioni per essere tale. A tal punto che quando capitano le giornate o le situazioni in cui tale condizione non c’è, quasi si preoccupa o ne sente l’esigenza. È il caso di chi, per esempio, abituato a tale condizione, prova disagio quando è in vacanza, oppure il fine settimana, come se andasse in “astinenza” da quelle emozioni a cui è quotidianamente abituato, come se avesse bisogno ogni giorno di una “dose” di quelle emozioni e quindi delle sostanze chimiche che la compongono.
Al contrario, chi è abituato a nutrirsi di emozioni positive come gioia, condivisione, soddisfazione, entusiasmo, sentirà disagio nei momenti in cui essere mancano; non vedranno l’ora che le “giornate no” finiscano per tornare al proprio standard di vita emotiva.
Tutto questo ci aiuta a capire quanto sia importante anche nell’attività professionale coltivare emozioni positive e abituarci a pensare in modo positivo. Il pensiero positivo non è una questione new age, ma un fatto scientificamente provato nei suoi effetti positivi sul cervello e sul benessere generale dell’individuo. Si è dimostrato dalle scienze neurologiche che gli ottimisti hanno delle aree del cervello più sviluppate e attive di chi non lo è.
Imparare a pensare positivo vuol dire imparare a cogliere le opportunità nelle situazioni; vuol dire abituarci a fare invece che stare a rimuginare sul passato; vuol dire impostare il nostro software di pensiero proiettato al futuro invece che al passato; significa sviluppare possibilità, invece che lamentarsi di non averne.
Nello studio professionale abituarsi a pensare positivo ha come effetti meravigliosi:
- la possibilità di creare un clima efficiente e coeso con i collaboratori;
- l’ottimizzazione dei tempi di lavoro, non sprecato a parlare dell’inutile;
- la possibilità di creare e cogliere nuove opportunità, dal momento che si è più sensibili ad esse (mentre lo scettico viaggio col paraocchi);
- la crescita dei collaboratori, che si sentiranno di avere insieme un futuro;
- la creazione di una vision, quindi una direzione di crescita dello studio al posto della preoccupazione della sua sopravvivenza;
- un maggior benessere quotidiano: meno stress, più risultati.
Il pensiero positivo va coltivato, soprattutto per chi non è abituato è necessario giorno per giorno allenarlo finchè non diventi la nuova abitudine che scalza la precedente. I benefici personali e professionali arriveranno presto a farsi vedere.
.