Leggiamo oramai dappertutto e da mesi la querelle sull’art. 18. Non vogliamo qui entrare nel merito e tantomeno nel tecnicismo della riforma e dell’opportunità o meno che la accompagna. Lasciamo a chi è più qualificato tali attività. Vogliamo invece muoverci su un terreno più nostro, che è quello della cultura e della mentalità che alimentano queste polemiche.
Stiamo affrontando il vero problema?
Mi sono trovato questo autunno a parlare di questi argomenti a vaste platee e non appena si sfiorava l’art. 18 gli animi si scaldavano.
In particolare ricordo un pubblico di universitari dove mi è stata sollevata questa preoccupazione/obiezione: “poichè siamo dei numeri nel mondo del lavoro, vogliamo essere tutelati“. Non vi nascondo che questa frase mi ha colpito molto e ancora oggi ogni volta che la ricordo mi mette una certa tristezza.
È la premessa – ho pensato – che è sbagliata. È la convinzione che sta alla base a dover essere cambiata. Così, ho provato ad argomentare tra un pubblico vociante che il vero problema non consiste tanto nell’avete una tutela come numeri, ma nell’essere numeri.
Mi ha toccato molto l’idea che ragazzi di 20 anni affrontino il loro futuro con l’idea che saranno dei numeri nel mondo del lavoro. La mia coscienza si ribella a questa idea e il vento che mi ha sempre spinto a fare meglio e a non fermarmi si agita nuovamente. Numeri? Io non devo diventare un numero, questo è il vero punto. Ti serve a poco la tutela se sei un numero. Essere un numero tutelato non mi sembra una grande prospettiva di vita.
È la cultura alla base che va cambiata
Qui gioca un ruolo fondamentale la cultura, la scuola, la mentalità che viene trasmessa alle nuove generazioni. continuo a pensare che l’unica garanzia che possiamo avere nella vita è il diventare indispensabili. Solo quando siamo i migliori in quello che facciamo, in come lo facciamo, nella passione che ci mettiamo, allora saremo diversi e in quanto tali preziosi.
Continuo a pensare che in una imprenditoria sana, nessun imprenditore degno di questo nome si priverebbe mai volontariamente di collaboratori preziosi. E perché mai dovrebbe farlo? Laddove invece parliamo di imprenditori scarsi, di farabutti, beh allora non c’è comunque art. 18 che tenga.
Affiancati verso un nemico comune
Questo principio vale per qualunque lavoro e per qualunque mansione. Che tu sia un impiegato, un panettiere, un ferrotramviere, un insegnante, un meccanico, un operaio alla catena di montaggio, se farai con passione, dedizione, perizia e ambizione il tuo lavoro qualcuno si accorgerà di te e in men che non si dica uscirai dall’anonimato. Penso che il futuro vedrà l’imprenditore e i suoi collaboratori sempre più affiancati verso una sfida comune che si chiama mercato, concorrenza, globalizzazione.
La vera sfida
La cultura non dev’essere quella della tutela flat, ma quella della meritocrazia. Probabilmente ci vorrà più di una generazione per realizzarla, ma se mai si comincia mai si arriverà a destinazione.
Insegniamo ai nostri figli a diventare migliori di noi, a credere in se stessi, a dare un senso ai propri sacrifici, ad avere aspettative e sacrificarsi per realizzarle, a non invidiare, ma prendere esempio per imparare e migliorare a propria volta.
Ce la possiamo fare, basta volerlo e muovere il primo passo. Una bella sfida, non credete?!